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Caro Di Maio, i giornalisti le faranno il funerale

Luigi Di Maio, Vittorio Feltri, Marco Travaglio

Lettera al ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico. Quando il dicastero della tracotanza abolisce la cultura e la spaccia per povertà.

Caro ministro,
è veramente difficile comprendere la natura e la ragione di una comunicazione come la sua, ma ci proviamo. Non tanto perchè il 6 ottobre, in una diretta facebook, si augura che un gruppo editoriale come Gedi (e non L’Espresso come ha affermato senza un briciolo di informazione, ma magari questa imprecisione gliela facciamo anche passare) chiuda presto, quanto perchè mentre fieramente guarda dritto nella fotocamera dello smartphone del suo staff social, tra un ghigno e l’altro, lei si sta augurando che la classe giornalistica muoia subito. Sorprendente è realizzare che a pronunciare quelle parole sia stato il componente (sulla carta) più autorevole del dicastero dello sviluppo economico e del lavoro. Lei si è rivolto a dei lavoratori, non lo dimentichi. Lei che il diritto al lavoro dovrebbe tutelarlo.

“Per fortuna ci siamo vaccinati anni fa dalle bufale, dalle fake news dei giornali, e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini tanto è vero che stanno morendo parecchi giornali tra cui quelli del Gruppo L’Espresso che, mi dispiace per i lavoratori, stanno addirittura avviando dei processi di esuberi al loro interno perché nessuno li legge più, perché ogni giorno passano il tempo ad alterare la realtà e non a raccontare la realtà”

Il vaccino alle bufale è una fake news

Con quale onestà intellettuale ci si può autoproclamare l‘Edward Jenner della cura alle bufale, se la propria storia politica racconta di attivisti accecati dalle scie chimiche, teorie no vax, percezione dell’immigrazione alterata e continua strumentalizzazione dei meme sulle piazze digitali. Senza tralasciare il becero insensato complottismo, l’uso del congiuntivo e le teorie sull’uomo costituito dal 90% di acqua. Forse anche per l’esistenza di tutti questi elementi non dovremmo prenderla sul serio, visto che molto spesso caro ministro lei non ha la più pallida idea di quello che dice. Come in ogni vicenda però si può sempre osservare l’altra faccia della medaglia. In pochi forse hanno carpito che dietro queste parole c’è solo paura. Timore di essere denudati dal falso vestito che ogni giorno, dalla formazione del governo, Luigi Di Maio sta indossando per la sua personale propaganda populista. Già perchè deve essere difficile accattivarsi l’elettorato nonostante i giornali portino sempre a galla la verità, che spesso risulta alquanto scomoda. Dalle spese immorali del reddito di cittadinanza agli annunci spot sulla ricostruzione del ponte Morandi, dal condono che premia gli evasori a quel concorso tra amici vinto da Conte, dai voli charter tedeschi per il rimpatrio fino alla disgustosa operazione di comunicazione sul balcone di Palazzo Chigi.

Il rispetto per i lettori

Tornando al messaggio in sè, la sua offesa verso la classe giornalistica è ingiustificabile. Priva di alcuna etica, senno, intelligenza morale, rispetto. Lo stesso rispetto che invece chi lavora in un giornale nutre per i propri lettori, la linfa che tiene in vita l’operosità giornalistica e che non è pura imprenditorialità ma rappresenta il dovere e il sogno di chi vuole vestire questo mestiere. Magari scriviamo anche un po’ per noi, per diletto, per vanto. Ma anche quando lo facciamo l’intento è sempre quello di arrivare a chi legge. Vogliamo aprire gli occhi a chi non ha gli strumenti per farlo, vorremmo toccare la coscienza a chi ha creduto nella promessa elettorale gialloverde, magari facendo notare quante e quali informazioni vengono insabbiate, veicolate, trasformate. La vostra (quella del Movimento soprattutto) è sempre stata una persecuzione priva di contraddittorio. Prima vietate ai giornalisti di porvi domande, poi organizzate conferenze stampa a campana unica, infine pensate anche che abolire l’Ordine sia veramente una punizione per chi svolge questa professione. Per fortuna sottovalutate gli italiani, il nuovo elettorato, chi con coscienza si informa, apprende e realizza.

Uniti, da Feltri a Travaglio

Non c’è da biasimare neanche chi da sempre ha giornalisticamente prediletto una posizione ostile contro di lei, una linea schierata. Nel momento in cui l’eco di quelle parole raggiunge gli addetti ai lavori, si desta un principio fondamentale: l’unità. E allora non importa più se sui giornali della mattina seguente, nelle edicole ci sia scritto sulla testata Libero, Repubblica o Fatto Quotidiano, perchè in prima pagina ci sarà sempre una posizione comune che non tratta di fake news, ma che si limiterà a raccontare la realtà dei fatti. La verità e cioè che in un paese la cui Costituzione si fonda sul principio del diritto al lavoro e della libertà di stampa troneggia in poltrona un ministro che non ha la ben che minima idea della portata istituzionale del suo ruolo, tantomeno quello della società. E’ triste, vergognoso. Da giovane addetto ai lavori però le confesso che in fondo sono contento. Se perfino Travaglio si è accorto che quella di recare danno è un’abitudine per Di Maio allora vuol dire che qualcosa nel mondo della stampa sta cambiando, e presto cambierà anche la coscienza dei lettori. Mi dispiace ricordarle che esistono. Mi duole anche rammentarle che non moriremo mai. Non state abolendo la povertà, ma la cultura italiana.