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Il M5S salva Salvini ma non se stesso da una crisi profonda

Salvini e Di Maio alla Camera

Il voto degli attivisti sul ministro degli Interni non cancella ma acuisce le divisioni interne al Movimento: Di Maio tra due fuochi.

Alla fine il Movimento 5 Stelle ha salvato Salvini (il gioco di parole indica già l’aspetto tragicomico della vicenda) ma non se stesso. Sulla piattaforma Rousseau (della Casaleggio Associati) 30.948 votanti, pari al 59,05%, hanno detto no all’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno e vicepremier (per sequestro di persona) chiesta dal Tribunale dei Ministri in merito al caso della nave Diciotti. Rispondendo sì alla domanda posta dal M5s (“Il ritardo dello sbarco della nave Diciotti, per redistribuire i migranti nei vari paesi europei, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato?”) e optando quindi per l’immunità dell’alleato di governo. Immunità da non garantire secondo il 40,95% di chi si è espresso (21.469 voti).

Le ombre sul voto

Le modalità della consultazione, con il sì che valeva no e il no che valeva sì, sono state oggetto di ironia di molti osservatori e persino di Beppe Grillo. Ad accrescere i dubbi anche i problemi tecnici della piattaforma. Diversi iscritti non sono riusciti a votare: tra di loro la senatrice Elena Fattori, furiosa per il malfunzionamento di un sistema gestito dall’Associazione Rousseau che “usufruisce di 90.000 euro di ‘soldi pubblici’, versati dai parlamentari dai loro stipendi, dal mese di Marzo 2018. Ad oggi non è dato di avere né una fattura o una ricevuta del versamento né un rendiconto puntuale di come sono stati impiegati questi soldi. Almeno dovrebbe funzionare come un orologio svizzero. Non riesco neanche a connettermi”.

La spaccatura del Movimento 5 Stelle

Si sono invece connesse complessivamente 52.417 persone. La sorte di Salvini è stata decisa da questo numero molto modesto di elettori penstastellati come hanno notato diversi commentatori. E qui veniamo al nodo principale. Il Movimento si è affidato alla rete perché incapace di tenere una posizione unitaria. Ha delegato alla base una decisione politica che andava presa ai vertici e dai vertici (e dai gruppi in Parlamento). Ma anche e soprattutto ai piani alti i grillini stanno vivendo una grave e profonda crisi identitaria. Per tale motivo non hanno saputo decidere se privilegiare la sopravvivenza dell’esecutivo o il rispetto dei dogmi originari, delle parole d’ordine della creatura di Grillo. Come quelle pronunciate da Luigi Di Maio nel 2014 (si potrebbero citare altri esempi): “In Italia l’immunità parlamentare è sempre stata uno scudo per la politica, mai una garanzia (…). Visto l’abuso che si fa di questo istituto, in Italia è meglio abolirlo del tutto”. Sono passati 5 anni e tuttavia sembra trascorso un secolo. Nel frattempo altre contraddizioni e paradossi sono emersi con forza. Il Sindaco di Parma Federico Pizzarotti era stato sospeso dal M5s perché indagato (o forse perché era un ‘dissidente’?) mentre non era stato adottato un simile provvedimento nei confronti di Virginia Raggi, prima cittadina della Capitale (entrambi in seguito sono stati assolti).

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Il rapporto con Salvini

Di Maio nella vicenda della nave Diciotti si è schierato (al pari del Premier Giuseppe Conte e del ministro Toninelli) con Salvini, spiegando che era stato il governo e non solo il titolare del Viminale a portare avanti una determinata linea (in tal senso i tre hanno allegato dei documenti alla memoria difensiva di Salvini e sono stati iscritti nel registro degli indagati come atto dovuto dalla Procura di Catania). Se in prima battuta il risultato della votazione rafforza il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico (“Questa è democrazia” ha dichiarato dopo il voto online), in realtà lo indebolisce. A vincere è Matteo Salvini, il vero dominus del governo. Il leader della Lega alle elezioni aveva ottenuto poco più del 17% delle preferenze mentre il M5s oltre il 32%. Ebbene, dopo l’accordo per la formazione dell’esecutivo e la stesura del “contratto”, ha menato le danze relegando l’alleato a un ruolo secondario. Infatti Di Maio in questi mesi ha dato la netta impressione di fare proprie alcune battaglie leghiste (basti pensare all’immigrazione). Pungolato dalla base e dai parlamentari, ha provato quindi a cambiare nuovamente strategia adoperando una condotta molto più aggressiva. Come nel caso della Tav, bandiera del popolo grillino, da sempre contrario alla realizzazione dell’opera. Ma i risultati delle elezioni in Abruzzo, una vera e propria disfatta per il M5s, hanno fatto capire al capo politico che la strategia adottata non era e non è redditizia.

Il ruolo di Di Battista e Fico

Da qui la necessità di tornare a usare parole “rassicuranti” e di allontanarsi dalla furia verbale di Alessandro Di Battista. L’ex deputato, una volta tornato dal viaggio in Sudamerica, ha cercato di ridare peso al Movimento all’interno della compagine governativa facendo una vera e propria opposizione a Salvini. Impossibile dimenticare il pesante affronto sulla Torino-Lione: “La smetta di rompere i c… o torni da Berlusconi”. Di Battista rappresenta l’anima ortodossa, quella delusa per la piega che ha preso l’avventura grillina a Palazzo Chigi. Ma il suo nuovo ingresso in scena ha creato ulteriore scompiglio. E aumentato (solo esternamente) le divisioni interne al M5s. La sua visione è la stessa di una buona parte della base, la medesima (sebbene con sfumature politiche diverse) di Roberto Fico. Il quale, nonostante il ruolo di Presidente della Camera, ha lanciato numerose frecciate al Carroccio.

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Le elezioni europee

Gli ultimi sondaggi in vista delle elezioni europee d’altra parte sono disastrosi per i pentastellati. O meglio, indicano un calo di 7 punti percentuali rispetto alle politiche dello scorso marzo. I più pessimisti, o realisti, temono che l’emorragia di consensi possa proseguire fino a far scendere il Movimento al 20%. Una prima risposta sarà fornita dalle elezioni regionali in programma in Sardegna domenica 24 febbraio (nei futuri appuntamenti locali Di Maio propone un’alleanza con le liste civiche). Comunque vada, questo è il segnale di un chiaro disorientamento da parte dell’elettorato. Come detto i 5 stelle si sono spesso appiattiti sulla Lega, e tra l’originale e una copia (sbiadita) gli italiani sembrano preferire decisamente la prima. Così si spiega lo spostamento di voti da una lista all’altra. Evidentemente non basta il (ridimensionato) reddito di cittadinanza (deve essere ancora concretamente attuato e non mancano i dubbi in tal senso) a soddisfare la il popolo del M5s. Sarà dunque indicativo l’atteggiamento su alcune questioni cruciali, a cominciare dalla Tav e dal progetto di autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

La scelta finale

In gioco c’è non solo la sopravvivenza del governo ma dello stesso Movimento. Chiamato a decidere però una volta per tutte cosa fare da grande. Dopo essere salito al potere ha compreso che scendere a compromessi è inevitabile e obbligatorio (lo sarebbe anche se avesse il 51%). Questa realtà non sembra trovare il gradimento, per usare un eufemismo, di una fetta di parlamentari e simpatizzanti, quasi desiderosi di fare sempre e comunque opposizione. Di dire solo e soltanto no come, nella Seconda Repubblica, era avvenuto per le forze di sinistra e nello specifico per Rifondazione Comunista. A costo quindi di far crollare tutto. Di Maio si trova così tra due fuochi. Il rapporto con la Lega (Salvini sta guadagnando ulteriore vantaggio grazie alle difficoltà dell’alleato) e i rapporti di forza nel Movimento. Sullo sfondo resta la figura di Beppe Grillo, sempre più distante dal capo politico. La confusione regna sovrana: i 5stelle hanno le sembianze di una maionese impazzita. Al momento è impossibile prevedere cosa succederà, quale sarà il destino del M5s. Non lo sanno neppure i protagonisti di questa Terza Repubblica, instabile come le prime due.