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Fioramonti, niente scuola d'italiano per il figlio: è polemica

ministro fioramonti

Dopo la mancata iscrizione alla scuola italiana del proprio figlio, il ministro dell'Istruzione Fioramonti replica: "Io sotto attacco".

Nuove polemiche si abbattono sul Governo giallorosso, nel mirino ci finisce il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. L’attacco concerne la sua decisione di non voler far sostenere l’esame a suo figlio (appena rientrato dal Sudafrica) in lingua italiana, optando per la sola scuola in inglese. Immediata la critica dell’opposizione proveniente dalle dichiarazioni di Federico Mollicone, deputato capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Cultura: “Giuseppe Conte rimuova il ministro dell’istruzione dal suo ruolo, avendo mostrato già in passato totale incapacità di governo e una serie infinita di gaffe, dalle battute sessiste su Daniela Santanchè alla tassa sulle merendine. Chi disprezza la lingua italiana non può rappresentare la lingua nazionale. Auspichiamo, se confermata la notizia, le sue dimissioni“.

Le parole della vicepreside

Nel corso di una lunga intervista rilasciata ai microfoni dell’agenzia Adnkronos, la vicepreside ha confermato: “La storia del test del figlio del ministro è la seguente: in prima e seconda elementare i bambini, il 30-40% dei quali sono stranieri, fanno il programma esclusivamente in inglese. L’ora di italiano scatta, solo per chi vuole, a partire dalla terza. Non facciamo gli esami di italiano in sede, ma in un’altra struttura e l’anno scorso Fioramonti, che non era ancora ministro, insieme alla moglie straniera ha scelto di non far fare il test in italiano al figlio perché preferiva si concentrasse sull’inglese. Il bimbo, venendo dal Sudafrica, non parla infatti bene l’italiano. Oggi quel bambino frequenta un’altra scuola”.

La replica del ministro

Il ministro dell’Istruzione contattato successivamente dall’agenzia Adnkronos, ha preferito non replicare mostrando il proprio disappunto tramite un post su Facebook: “Non pensavo che vivere molti anni all’estero lavorando duro potesse essere usato contro di me. Oggi non si attacca il mio lavoro, fatto di intese coi sindacati per garantire la didattica, ridurre il precariato, rilanciare l’edilizia scolastica e battersi per maggiori risorse in un settore bistrattato da decenni, ma le mie opinioni di anni fa, scritte sulla mia pagina privata, di getto, e con toni di cui ovviamente non vado fiero (e per cui ho già chiesto scusa alla diretta interessata in forma personale). Essere oggetto di pressione mediatica fa parte del ruolo, e lo capisco. C’è però un limite da non valicare. Giorni fa alcuni giornalisti sono andati a scuola di mio figlio chiedendo informazioni sui suoi voti, sul suo comportamento e sugli esami. Difendo e difenderò sempre il diritto alla libera informazione, accetto in silenzio tutte le critiche, in taluni casi anche molto dure, che mi vengono rivolte. A tutti può capitare di incorrere in errori, anche a me, come nel caso dei toni usati nelle affermazioni rilanciate dal tritacarne mediatico, pur vecchie di anni e fatte quando ero un semplice cittadino. Ma recarsi in una scuola elementare per mettere sotto le luci dei riflettori un bambino di 8 anni è un atto di violenza. Mio figlio ha sempre frequentato scuole internazionali perché è nato e cresciuto all’estero.
Queste scuole sono le uniche che garantiscono continuità curricolare ai bambini che cambiano spesso paese di residenza. Mio figlio, figlio di un italiano e di una donna tedesca, parla 4 lingue (tra cui l’italiano), ma al tempo dell’iscrizione aveva ancora difficoltà a scriverlo, ragion per cui – anche su suggerimento della scuola – abbiamo deciso di non registrarlo per l’esame facoltativo d’italiano”.