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Elezioni regionali, Conte è ostaggio del Pd e i grillini agonizzano

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La vittoria del Pd alle elezioni regionali in Emilia Romagna ha ribaltato i rapporti di forza nel "minestrone di governo" con il M5s.

I risultati delle regionali in Emilia-Romagna e in Calabria forniscono due dati incontrovertibili. I grillini scompaiono dalla scena e Giuseppe Conte tira un sospiro di sollievo. Il professore che si è ritrovato a fare il presidente, se la cava, anche se per lui, e per il suo governo asfittico, le cose si fanno sempre più difficili. L’annichilimento dei cinquestelle era prevedibile e previsto, ma il risultato è doppiamente umiliante. E adesso siamo di fronte a un paradosso: un grillismo sovrarappresentato in Parlamento ma quasi totalmente dissolto nel Paese. Probabilmente presentare candidati senza allearsi con il Pd lo ha fatto apparire poco serio e inaffidabile. Per loro adesso si prospetta un ruolo marginale e ininfluente.

Elezioni regionali, il trionfo del Pd

Non sappiamo poi se per Conte sarebbe stato meglio la vittoria di Salvini in entrambe le regioni o, come è andata, il rafforzamento del Pd. Per lui quest’ultimo scenario è, se possibile, anche più catastrofico dell’altro. Nel primo caso avrebbe dovuto fare i bagagli e andarsene da Palazzo Chigi senza tante storie. Bonaccini, invece, gli ha prolungato l’agonia ancora per un po’, puntellando anche il Pd che non sarebbe sopravvissuto alla sconfitta. Per Conte la sua vita politica è in mezzo a un guado. Adesso si ritrova a governare con rapporti di forza completamente ridefiniti all’interno della sua compagine governativa, incapace di accreditarsi come alleanza politica credibile, con una maggioranza che resta traballante sebbene il rischio di nuove elezioni si allontani.

Gli alleati più forti del suo minestrone di governo, ovvero i cinquestelle, dei quali peraltro lui è diretta espressione, sono diventati i più deboli. L’alleato più debole, ovvero il Pd, con il quale ha accettato di governare dopo la Lega, è diventato più forte, per cui adesso governare sarà ogni giorno come guidare bendati a 200 all’ora di notte in discesa su di una strada sterrata. Il Pd paleserà a ogni spostamento d’aria la questione del riequilibrio del governo oggi sbilanciato sui cinquestelle che le urne hanno stangato.

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La disfatta del M5s

Dal 30 al 10%. Un risultato agghiacciante. Persino nella loro Calabria sono fuori dal podio. Nelle due regioni dove i pentastellati sono nati e si sono affermati, non esistono più. Ora capiamo meglio una delle ragioni del passo indietro di Luigi Di Maio a tre giorni dal voto. Il prode e coraggioso ministro degli Esteri non vuole più prendersi le responsabilità politiche delle disfatte del suo movimento (anche se non vede l’ora di vendicarsi per essere stato messo alla porta dai suoi compagni) che continua nella sua caduta libera e i cui elettori emiliani sono andati in soccorso del candidato Pd, per sbarrare la strada a Salvini. Il partito più forte in Parlamento fino a poco tempo fa, i cinquestelle, è ora agonizzante, in mano a Vito Crimi, che gli darà il colpo di grazia.

Il movimento giovanile delle sardine, incredibilmente, ha assolto il suo compito e ha aiutato non poco il Pd votando per Bonaccini. Ma non si credano i democratici che lo abbia fatto gratis. In politica nulla è gratis. Ha svuotato il M5s come la Lega lo svuotò alle Europee e ora passano all’incasso. Per questo a Zingaretti, gli è toccato pure ringraziarlo pubblicamente nella sua prima dichiarazione a caldo. Dovrà, infatti, vedersela con il leader delle sardine Mattia Santori al quale le urne hanno dato ragione. Diventeranno partito continuando a negare di esserlo.

Battuta d’arresto per Salvini

Per Salvini, inutile negarlo, la sconfitta è di quelle che bruciano. Il Capitano aveva investito tutto sulla partita emiliana. Tanto più che proviene da due anni di soli trionfi e che ha condotto una campagna martellante ogni giorno per due mesi dalle 9 la mattina alle 9 la sera. E tanto più perché è stato lui stesso ad alzare l’asticella dicendo che la Lega non avrebbe vinto ma stravinto, tentando di trasformare il voto in un referendum su Conte. Quelle in Emilia-Romagna erano le “sue” elezioni, una specie di banco di prova, non superato, più di quelle in Calabria che esprimevano una candidata berlusconiana pura (undicesima regione passata al centrodestra dall’inizio della legislatura). Probabilmente sarà costretto a rivedere un po’ la sua linea elettoralistica e sovranista se ambisce ancora a diventare premier.

salvini borgonzoni

Morale delle favole: Salvini perde amaramente, la strategia della spallata si è trasformata in un boomerang e il fortino della sinistra non crolla, anche se mai la percentuale del centrodestra era stata così alta nella regione di sinistra più longeva d’Italia (mezzo secolo esatto di dominio ininterrotto) e più minacciata della storia repubblicana. Per il Pd una boccata d’ossigeno anche se ha il sapore salato della sardina affumicata. Il M5s crolla ovunque proiettando un’ombra sinistra sull’esecutivo Conte da oggi in ostaggio di Zingaretti, punto inaccettabile anche per un altro azionista del governo, Matteo Renzi che non può permettersi di stare a reggere il moccolo se vuole continuare a campare con la politica.