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Vittorio Feltri nel 2015 era il candidato Presidente della Repubblica di Salvini e Meloni

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C'è chi non ricorda e chi preferisce non ricordare: nel 2015 Salvini e Meloni candidarono Vittorio Feltri al Quirinale. Oggi tacciono (o prendono tempo).

È il 22 marzo 2020. Siamo nel bel mezzo di una pandemia che in poche settimane ha già causato centinaia di migliaia di morti. E chissà quante altre vite strapperà via. L’economia mondiale è in ginocchio, l’incertezza si fa avanti, spocchiosa e avida, togliendoci spesso molto più di quanto non faccia già il virus. Ed è anche in questa situazione, che il buon Giacomino Poretti definirebbe a ben donde “kafkiana”, che ci ritroviamo ancora una volta a sorprenderci di quanto straordinaria riesca ad essere la vita. Già. La vita che, per rincuorarci di quanto accade là fuori, ci sorprende di nuovo con uno dei suoi doni. È vero: là fuori si muore, ci sarà anche la fame. Ma almeno, nell’inferno generale, abbiamo Feltri e le sue lezioni di vita.

Salvini e Meloni: “Feltri candidato ideale”

La verità è che, qualche esistenza fa, dobbiamo averla combinata proprio grossa. Altrimenti tutto questo non si spiega. Ora dunque che dovrei fare? Mettermi a elencare tutte le volte che il signor Feltri si è prodigato nel manifestarci il suo amore? Sarebbe un inutile spreco di tempo, di caratteri, di energia. Ma certo, sarò anche il classico inferiore meridionale che a Milano, in tempi normali, si può incontrare ovunque. Ma davvero non ne vale la pena. Tanto lo sappiamo, Vittorio è sorgente inesauribile. Di sue massime ne abbiamo sentite. E ne sentiremo ancora e ancora. In fondo, anche il più ipocrita dei terroni ammetterebbe di essersi, un pochino, (colpevolmente) abituato.

Dunque perché infierire su Feltri? Sparare sulla Croce Rossa non fa onore a nessuno. La quarantena ci priva, ogni giorno che passa, di molte cose. Alcune però le restituisce, questo è certo. Spesso nel modo più brutale. Tra queste anche un po’ di memoria storica, che se non esageri male non fa mai. E proprio mentre l’amore di Vittorio trionfa, mentre sentenzia onnipotente la fine che noi sudditi meridionali meritiamo di fare, la mente mi saluta e torna improvvisamente indietro. Al 2015. Ed è lì, in quel vecchio gennaio, che la magia si spezza. Proprio lì il romanticismo tramonta e dà spazio agli altri due illuminati. Giorgia e Matteo si avvicinano sornioni ai microfoni. Fanno sul serio, è evidente. Qualche secondo di silenzio, poi lo schiaffo:

“Vittorio Feltri è il nostro candidato al Quirinale. Un candidato ideale, perché non è un cieco servitore di Bruxelles, dell’Europa, delle banche, della finanza, dell’euro. Osa criticare l’immigrazione clandestina e quindi ci sta simpatico. L’Italia ha bisogno di una persona così”.

Cinque anni dopo Giorgia e Matteo tacciono (o prendono tempo). Eppure non sono pochi quelli che, in Terronia, si sono affidati a loro. Loro che promettevano di tutelare i prodotti delle loro terre, la pesca nel loro mare, i confini delle loro spiagge dall’arrivo dei cattivi dalla pelle nera. La lezione di vita di Feltri, in fondo, è tutta qui. L’infamia non si nasconde mai, resta fedele a se stessa. È la dannata memoria a breve termine, spesso, a renderla invisibile.