> > Recovery Fund, il viceministro Misiani: "Il Sud salverà l'Italia"

Recovery Fund, il viceministro Misiani: "Il Sud salverà l'Italia"

Antonio Misiani sul Recovery Fund e il Sud Italia

Ora che i soldi del Recovery Fund ci sono, bisogna utilizzarli soprattutto nel Sud Italia: l'intervista di Notizie.it ad Antonio Misiani.

Non basta avere le risorse: bisogna saperle spendere, nei giusti tempi e modi, per far uscire il paese dalla crisi innescata dalla pandemia. A ricordarlo, a poco tempo dal raggiungimento dell’accordo sul Recovery Fund, è il viceministro dell’Economia e delle Finanze Antonio Misiani, che in un’intervista rilasciata a Notizie.it sottolinea: “Abbiamo bisogno di una netta accelerazione degli investimenti pubblici nel Sud”.

Intervista ad Antonio Misiani

Buongiorno, viceministro. Come vede il futuro? Ottimista?

I prossimi saranno mesi difficili, soprattutto dal punto di vista economico e sociale. Ma non ho dubbi che l’Italia recupererà quanto perso durante le settimane di lockdown. L’Europa ci ha offerto un’opportunità straordinaria di cambiare radicalmente il nostro Paese facendo ripartire un nuovo ciclo di sviluppo. È una scommessa molto impegnativa ma abbiamo tutte le carte in regola per vincerla.

Dostoevskij diceva che la bellezza avrebbe salvato il mondo. Il Governo ha scelto di immettere nell’economia parte delle -molte- risorse stanziate finora attraverso le banche, con l’intermediazione di Cassa depositi e prestiti. L’idea è di rovesciare lo scenario del 2008? Insomma, la finanza questa volta salverà il mondo?

Nel 2008 la crisi nacque nella finanza e si trasmise in un lampo all’economia reale. Questa volta è tutto diverso: la crisi deriva dalla pandemia, che ci ha costretto a misure straordinarie che hanno paralizzato gran parte del sistema produttivo. Alcune lezioni della grande recessione di dieci anni fa sono state comunque utili. Dopo Lehman Brothers il credit crunch, la brusca interruzione del flusso di credito dalle banche alle imprese, provocò il collasso di tantissime aziende, aggravando molto la crisi. Nel 2020 abbiamo reagito subito innalzando fino al 100% le garanzie statali per l’erogazione di nuovi crediti. Il meccanismo ha funzionato lentamente, all’inizio, ma via via ha coinvolto 900 mila imprese che hanno chiesto quasi 60 miliardi di nuovi prestiti. Senza garanzie pubbliche, nessuna banca avrebbe prestato soldi alle imprese. E la recessione sarebbe diventata rapidamente depressione.

Già da capogruppo PD in Commissione Bilancio al Senato e responsabile economia del suo Partito aveva evidenziato più volte la necessità di una spesa pubblica per investimenti al Sud. Adesso che i soldi potrebbero esserci…

Bisogna utilizzarli innanzitutto nel Mezzogiorno. In un Paese come l’Italia, segnato da profonde disuguaglianze territoriali, investire nelle aree in ritardo una quota di risorse pubbliche almeno pari al loro peso demografico è il minimo sindacale. La regola 34% va fatta rispettare, ma garantire questo flusso di risorse è solo una parte del problema. Perché se le amministrazioni regionali e locali questi soldi poi non sanno spenderli, siamo punto e a capo. E noi, invece, abbiamo bisogno di una netta accelerazione degli investimenti pubblici nel Sud se vogliamo progressivamente richiudere la forbice di sviluppo che lo separa dal Centro nord. La qualità della classe politica e della macchina amministrativa è, insomma, un punto chiave, assolutamente decisivo.

La disoccupazione, in particolare quella giovanile, proprio al Sud è tra le più alte d’Europa. In questo nesso vede un ostacolo o un’opportunità anche per il rilancio del lavoro giovanile?

C’è un indicatore che dovrebbe preoccupare ancora di più, nel Mezzogiorno: la percentuale di giovani NEET, che non studiano, non lavorano e non cercano nemmeno occupazione. Un’intera generazione rischia di essere tagliata fuori da qualsiasi circuito formativo o produttivo. Dobbiamo scrivere un nuovo patto sociale, con i ragazzi e le ragazze del Mezzogiorno. La declinazione italiana del programma Next Generation EU dovrebbe occuparsi con grande determinazione innanzitutto del loro futuro. Come farlo lo sappiamo da tempo: investendo nel sistema formativo, riducendo il costo del lavoro, migliorando gli incentivi per l’auto imprenditorialità dei giovani.

Per evocare lo spettro del Recovery Fund, però, sarà necessario un Piano di riforme. Sarà possibile portare al tavolo europeo anche riforme già realizzate, evidenziando, ad esempio, la necessità di effettuare nuove assunzioni nella pubblica amministrazione per portarle a regime?

Dobbiamo correre, per scrivere il Recovery Fund. La sua presentazione però rappresenta solo il primo passo del percorso per utilizzare i fondi di Next Generation EU. La macchina amministrativa va riorganizzata in funzione di questa sfida. L’ingresso di una nuova generazione di servitori dello Stato, assumendo nella PA 500 mila giovani nativi digitali e altamente qualificati, è un passaggio decisivo per vincere questa sfida.

Parlando della necessità di realizzare investimenti al Sud ha fatto riferimento alla concreta capacità di spendere. L’Italia in generale, fino ad oggi, ha fatto fatica a utilizzare le risorse dei fondi speciali europei. Perché in questo caso dovrebbe essere diverso? Quale potrebbe essere una proposta capace di incidere sulla capacità di spendere effettivamente le risorse disponibili?

Non è un destino ineluttabile che in Italia non si riesca a spendere le risorse europee. Dipende dalle scelte che faremo nei prossimi mesi. Dobbiamo insediare un coordinamento politico e tecnico molto stretto a livello centrale e stabilire regole d’ingaggio chiare con le amministrazioni territoriali. I soldi vanno spesi presto e bene. Chi non ce la fa va sostituito dallo Stato. La chiave, a mio giudizio, è replicare e diffondere rapidamente le tante buone pratiche che abbiamo sul territorio: sono numerosi i casi di eccellenza nella capacità di euro progettazione e nella tempistica di utilizzo dei fondi europei.