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Perché i politici del bonus di 600 euro devono indignare di più degli altri che non ne avevano bisogno

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I deputati che hanno ricevuto il bonus durante il lockdown indignano di più rispetto agli altri perché a un politico è giusto chiedere qualcosa in più.

Passata la buriana dell’indignazione popolare, quella che per una domenica intera ci ha tenuto appesi allo scandalo dei cinque deputati col bonus da 600 euro, devono essersi detti, i professionisti del “ma anche”, che occorreva intervenire per riportare al centro una bilancia sbilanciata solo sul piatto della politica. E dunque la nuova mise en place del lunedì, dopo la domenica delle vesti stracciate, ha una nuova narrazione: accanirsi contro i cinque deputati non va del tutto bene.

L’indignazione contro i deputati del bonus

Intendiamoci: un po’ sì. Ma con juicio, come diceva quello, ché alla fine così fan tutti. Pretenderne i nomi pare che sia diventato ormai un oltraggio giacobino a un certo liberalismo che usa la privacy alla bisogna, solo quando, in genere, è pro domo sua. C’è perfino chi tira in ballo la quisquilia della cifra, 600 euro appunto, che certo devono apparire come poca cosa a un Paese che manda giù sprechi e incompiute da Guinness World Record.

E così il piatto sbilanciato sulla responsabilità della politica – forse sarebbe meglio dire dei politici – riportato al centro da questa sofisticata operazione di rilettura, viene quasi a un tratto a tornare a inclinarsi e questa volta verso quegli (im)prenditori – e perfino un conduttore televisivo pare – che hanno osato anche loro l’oltraggio del bonus garantito per legge.

Si dice: e allora di questi cosa dovremmo fare, visto che sono – pare – migliaia, dunque ben più dei cinque ascari dell’emiciclo? Fuori i nomi anche di questi affamatori del popolo, dato che sempre di denari pubblici si tratta. Qui dunque la condanna, che per i cinque deputati era degrado giacobino, diventa in un batter di ciglia consentita per tutti i furboni che alla tetta dell’Inps hanno succhiato, sebbene in modo del tutto legittimo. Loro sì che fanno schifo, sarebbe l’assunto.

E allora la domanda è: i soldi pubblici per l’emergenza Covid sono per tutti uguali? E ancora: il sussidio pubblico può valere, in un momento come questo, allo stesso modo per chi la cosa pubblica l’amministra in nome del popolo – da cui peraltro riceve il consenso e, in senso più lato, anche una più che dignitosa remunerazione – rispetto a chi ne ha fatto legittima richiesta, ma non ha su di sé la responsabilità dell’investitura popolare?

Ai politici è giusto chiedere qualcosa in più

Io credo che al dibattito impazzito di questi giorni sia mancato un distinguo necessario. ‪Spostando il baricentro dalla politica alla “società civile”, che ha ugualmente approfittato di una legge dalle maglie troppo larghe, si perde di vista un punto cruciale. Ovvero che gli eletti hanno un dovere morale in più rispetto agli altri.

La politica, ovvero la forma più alta di “carità”, per citare Paolo VI, non deve forse più di altri porsi il problema della giustizia, intesa in senso largo? Non tutto ciò che è legale è giusto. Si tratta di soldi pubblici sia per gli imprenditori che hanno beneficiato del bonus, sia per i politici. E questo è vero. Aggiungo anche che del denaro pubblico occorre avere rispetto sempre, a prescindere dalle cariche e dai ruoli.

Tuttavia a un politico è giusto chiedere qualcosa in più, non fosse altro che per quella forma altissima che è l’esercizio della rappresentanza delegata. ‬Se ti delego a scegliere per mio conto tu – a tua volta – non puoi non avvertirne la responsabilità. Ecco perché i cinque deputati del bonus indignano di più rispetto a chi, non eletto e dunque sgravato dal dovere della rappresentanza, abbia ottenuto ugualmente i 600 euro, che pure paghiamo tutti noi.

Il principio di responsabilità individuale è ancora un esercizio ostile, pare, in questo Paese. Dell’etica poi non dico neanche.