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La scuola è l'ennesimo capro espiatorio di un prevedibile aumento dei contagi

aumento dei contagi da coronavirus, la scuola è l'ennesimo capro espiatorio

I contagi tornano ad aumentare e quindi via alla nuova caccia all'untore: così la scuola diventa lo zerbino su cui pulirsi i piedi.

Ci risiamo, ancora, come se tutti questi mesi fossero passati lisci come l’olio, come se il fatalismo sia la linea guida di certi governanti nell’affrontare la pandemia: un’altalena di decisioni legati all’oscillazione dei numeri perché evidentemente la programmazione è qualcosa che va poco di moda di questi tempi. Il governo studia nuove misure per frenare l’impennata dei contagi (che poi non è altro che quella seconda ondata di cui si parlava da mesi, mentre ci si è concentrati sull’instaurazione di un fecondo clima vacanziero che distrasse gli animi) e a essere messa in discussione insieme a bar, ristoranti, feste e calcetto sottovoce è anche la scuola. Niente di detto in modo netto, per carità, si tratta di dichiarazioni sparse di qualche presidente di regione (di destra e di sinistra, perché la cronica svalutazione dell’importanza della scuola qui da noi è qualcosa di ferocemente bipartisan) ma chi scrive di politica sa che le mezze frasi servono per preparare il terreno per le decisioni che verranno e allora conviene rizzarsi prima, prima che tutto sia scritto su qualche decreto regionale e ci si ritrovi a dover strillare a giochi ormai fatti.

Dentro c’è un po’ del solito paternalismo che fin dall’inizio del Coronavirus ha veleggiato a gonfie vele nella narrazione nazionale: se vi ammalate è colpa vostra, se non vi ammalate è merito nostro. E quindi via con la nuova caccia all’untore per dare in pasto all’opinione pubblica qualche colpevole per un problema che invece è complesso, mondiale e assolutamente nuovo e richiede soluzioni complesse e nuove. Che la scuola sia vista come evitabile occasione di assembramento, al pari degli apertivi con gli amici o delle sfide tra scapoli e ammogliai, definisce già perfettamente il valore che certa politica dà alla formazione (non solo culturale ma anche sociale) dei nostri studenti: tutto ciò che non fattura e che non arricchisce viene visto come un fastidioso intralcio da poter mettere all’angolo e il prodotto culturale interno lordo è qualcosa che evidentemente non rientra nei bilanci da sostenere con cura.

Quindi? Quindi male che vada rimettiamo gli studenti a casa con computer tra le mani e via con la “didattica a distanza” (diventata panacea di tutti i mali come se davvero potesse sostituire l’esperienza sociale di un percorso didattico) così almeno si evitano assembramenti. E fa niente che gli assembramenti da settimane siano invece sui mezzi pubblici che portano i ragazzini a scuola, fa niente che da settimane continuino a fioccare i video di stazioni di treni, di metropolitane e di tram che contravvengono qualsiasi regola di buon senso senza nemmeno bisogno di andarsi a rileggere l’ultimo DPCM.

Da marzo a oggi, perdendo indicibile tempo in inutili discussioni su poco utili banchi a rotelle, non si è pensato che a settembre le città si sarebbero riempite di nuovo di gente che ha bisogno di spostarsi per lavorare, per studiare e per sopravvivere. E a nessuno è venuto in mente che il rafforzamento del trasporto pubblico fosse una delle priorità da mettere in agenda il prima possibile, ben prima della pluriprevista seconda ondata che tutti sapevano che sarebbe arrivata (tranne qualche incauto personaggio da talk che ci annunciava che il virus fosse “clinicamente morto”).

Ora eccoci qui. Risalgono i numeri e la scuola diventa lo zerbino su cui pulirsi i piedi. Non è solo la fotografia della disorganizzazione, no, è l’evidente forma che ha la stortura di un Paese che ritiene l’istruzione un burocratico percorso da offrire per legge, come se non fosse un’occasione. E conviene alzare la voce ora, subito, presto.