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Voto di fiducia in Senato per il Conte 2-bis: sembrava un film dei Vanzina

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Dai senatori a vita che "non muoiono mai", almeno secondo Salvini, alla momentanea scomparsa di Ciampolillo, degna di Bugo ai tempi di Sanremo. Quello che abbiamo visto e non avremmo voluto vedere in una delle giornate più importanti per l'Italia.

Una giornata emozionante in Senato per chi segue la politica, altro che maratona Mentana: un triathlon di 44 ore – tra dichiarazioni, repliche, controrepliche, sanificazioni e assembramenti – col fiato sospeso, dalle 9 di mattina alle 23 di sera. Il ricordo di Emanuele Macaluso. La standing ovation dei ministri alla 90enne Liliana Segre, scesa apposta da Milano a Roma per far numero a favore di Conte: conosce bene lo spettro nero che incombe sul Paese con Salvini e Meloni. E se lo immaginano pure i forzisti, i ripescati nel pozzo del Gruppo Misto e gli ex 5 Stelle rientrati nei ranghi dalla finestra, che hanno provato a tappare i buchi lasciati da Renzi. Ne abbiamo già avuto avvisaglia dai toni agghiaccianti usati dal leader leghista nel suo discorso: “I senatori a vita non muoiono mai”.

E poi gli applausi, allo stesso premier. L’Italia viva al 3% e defunta al 97 è un microscopico virus che non è valso la pena citare neanche a Palazzo Madama. L’Innominato è ormai il passato. Già a Montecitorio senza di lui era andata meglio di quando c’era: chi viene mollato ci guadagna in voti, come già successo al Pd in consensi. L’ignorarsi in aula, del resto, è stato reciproco: lo squarcio resta sanguinante. Con Salvini è stato diverso. Lui supera il 20% e, quando ha tradito, Conte l’ha attaccato frontalmente. Dall’agosto 2019, quando dimissionario e a esecutivo caduto gli rinfacciò proprio in Senato gli “interessi personali” perseguiti al Viminale, e la mancanza di “coraggio nell’assumersi la responsabilità” delle sue politiche anti migranti.

Fino allo scorso aprile: “Devo fare nomi e cognomi” disse in tv durante la presentazione del nuovo Dpcm, accusando anche la leader di FdI di sostenere già allora “falsità sul Mes”. Ora è Renzi che ha provato a farlo inciampare su questo fondo della discordia, per cui si dice pronto a perdere il posto a palazzo. Poteva votare no, anziché astenersi.

Il “mercato” consumato fino all’ultimo, in stanze e corridoi, è tutto fuorché una novità assoluta. Chiamiamoli volenterosi, dissidenti, responsabili, trasformisti o tengo famiglia: da almeno 30 anni tutto fa brodo a Palazzo Chigi. Dai banchi l’opposizione ha caricato ancora a testa bassa. Niente di inedito. Ma quando domandano a Conte cosa gli impedisca di rimettersi al verdetto delle elezioni anticipate, se è così convinto di star facendo bene, viene da chiedersi: l’hanno capito che c’è il Covid o no?

Il buon senso suggerirebbe che è una follia andare ai seggi quando l’ultimo Dpcm ha appena dato una riavvitata generale al Paese, ma in fondo l’abbiamo già fatto all’Election Day del 20 e 21 settembre scorsi. Accorpammo referendum e amministrative riaprendo le scuole e portando 46 milioni di cittadini alle urne, a ridosso di quella che un mese dopo sarebbe diventata la seconda ondata di infezioni: da 1.350 positivi al giorno, a 15.200 il 21 ottobre, a 34.764 il 21 novembre. Allora votarono pure gli Usa e martedì notte, per una curiosa coincidenza, mentre dall’altra parte dell’Atlantico s’insediava un nuovo governo dem, un altro qui stava per dimettersi.

È finita a quota 156. L’ultimo brivido ce l’ha regalato la Var al duo Ciampolillo-Nencini. Una fiducia relativa, o “semplice”: non è la prima volta nella storia della Repubblica e la maggioranza assoluta non è richiesta per ogni atto del Parlamento. Comunque superiore ai 155 voti, che rappresentavano la soglia limite per decidere se fermarsi o continuare.

Arrivare a 161 era fantascienza. Quanto può durare un esecutivo destinato a restare comunque in bilico a ogni voto del fitto elenco di leggi e riforme in agenda? La palla è al Colle, a cui Conte è obbligato a salire. Mattarella darà sicuramente l’ok a questo Conte 2-bis, nella speranza che ingaggi in corsa nuovi adepti alla causa.

Resta il “giallo” di cos’abbia sbagliato il premier per meritarsi questo bacio di Giuda di buon anno, tra capo e collo: in uno stato di prolungata allerta virus e con una campagna vaccinale a singhiozzo, impantanata dopo tre settimane dalle promesse da marinaio di Pfizer. Non l’hanno capito manco all’estero.

Ce lo siamo chiesto tante volte: allargando la prospettiva e inquadrando l’attuale situazione Covid in Europa e nel mondo, era davvero possibile fare molto meglio di tutti gli altri? Al netto del senno del poi, il centrodestra – che ancora in queste ore vuole più aprire che chiudere – avrebbe assunto misure così diverse, risolvendo economia e contagi? Lo scopriremo presto: il termine naturale di questa straziata XVIII legislatura è nel 2023 e in due anni ne possono succedere ancora di tutti i “colori”.