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Pietro Paganini, dal nuovo governo al Recovery Plan: il futuro dell'Italia

Pietro Paganini crisi di governo

"La nomina di Mario Draghi mi sembra la migliore. Il Recovery Plan è una sfida vantaggiosa", spiega Pietro Paganini nell'intervista esclusiva.

Il professore Pietro Paganini, già intervenuto per parlare della gestione dell’emergenza sanitaria in Italia, ha descritto lo scenario aperto con la crisi di governo, le potenzialità di Mario Draghi e le opportunità del Recovery Plan.

Pietro Paganini sulla crisi di governo

“Non sono un sostenitore del governo Conte bis. Devo però riconoscere che la sua crisi è stata guidata da un tentativo extraparlamentare del quale Renzi si è fatto mandante, con l’obiettivo di far crollare una maggioranza in cui la parte 5 Stelle era la più fastidiosa. Così l’intento era di istituire un esecutivo imposto dall’esterno che potesse governare e salvare il Paese. La nomina di Mario Draghi mi sembra la migliore: nessun dubbio sull’esperienza di politica economica del professore, proprio come le sue grandi capacità dimostrate negli anni. Tuttavia, governare un Paese è diverso rispetto alla Banca Centrale. Chi voleva un governo imposto dall’alto si è dovuto ricredere: Draghi ha dovuto optare per la riserva. Non era possibile prendere il governo nell’immediato. Ne è derivato un percorso parlamentare lungo e tortuoso, che però fa parte della vita democratica di un Paese. Si conferma così il parlamentarismo che si è tentato di minare”, ha spiegato Pietro Paganini parlando della crisi del governo e della scelta di Mario Draghi nei panni di nuovo premier.

Quindi ha precisato: “Il celebre professore sta giustamente incontrando i diversi partiti. Sta negoziando un percorso a termine. Durerà al massimo due anni, ma prevedo possa durare solo sei mesi o al massimo un anno. Entro l’anno prossimo immagino che Draghi voglia o venga invitato a essere Presidente della Repubblica. Nel caso quindi, sarà necessario un altro governo tecnico o le elezioni. In un periodo probabilmente molto breve, e con una coalizione così diversa, non si possono apportare numerose risorse”.

L’arrivo di Mario Draghi

Draghi arriva al governo di un Paese che “si è lasciato alle spalle il periodo più drammatico della storia italiana degli ultimi trent’anni. La situazione odierna è diversa rispetto a quella della primavera 2020. Il nuovo premier dovrà affrontare un compito difficile, cioè gestire la campagna di vaccinazione, portando il Paese verso l’immunità di gregge e permettendo di tornare a vivere. Il governo Conte bis, tuttavia, si è trovato a far fronte a una situazione di emergenza davvero troppo grande e inaspettata”.

“Draghi arriva in un momento meno drammatico e può sfruttare i 209 miliardi. La sfida è saperli gestire, però oggi quei fondi ci sono. Un anno fa la situazione non era uguale a oggi. Draghi sfrutterà le condizioni disponibili, precisa Pietro Paganini parlando del futuro italiano all’indomani della crisi di governo.

L’auspicio per il futuro italiano

“Spero che Draghi migliori a livello di efficacia organizzativa la gestione del virus e il processo di vaccinazione, riaprendo quanto prima le attività economiche. Inoltre, dovrà gestire al meglio i 209 miliardi, ovvero investirli e garantire un ritorno che permetta al Paese di tornare a crescere e pagare il debito (che per metà è degli italiani e per metà degli europei: quindi sempre delle future generazioni)”, ha commentato Pietro Paganini parlando della crisi del governo e del futuro del Paese.

Quindi ha aggiunto: Vedo difficile che Draghi possa introdurre riforme più complesse che toccherebbero le sensibilità dei singoli gruppi che compongono la maggioranza. Ciascuno sarà disposto a cedere qualcosa, ma dubito si affrontino questioni più articolate. In particolare, quota cento e reddito di cittadinanza (tra l’altro, per me Draghi è favorevole a un reddito universale più articolato in chiave teorica, differente dall’attuale proposta grillina)”.

Il nuovo esecutivo

Nonostante la difficoltà di prevedere lo scenario politico futuro, alla luce della differente e variegata coalizione che dovrebbe affiancare Draghi, il professore Pietro Paganini commenta: “Difficile prevedere le scelte tecniche del nuovo governo. Mi baso sui fatti: non si può fare un governo senza Movimento 5 Stelle e Lega, che si contraddistinguono per programmi molto forti e di rottura. La prima coalizione di governo, quella del 2018, ha apportato una rottura profonda rispetto alla visione tradizionale: oggi si ritrova al governo con dinamiche molto diverse. Per esempio, meno Salvini e più Lega lombarda. Quella Lega più burocratica e meno dirompente tipicamente salviniana. I grillini, invece, sono più o meno sempre gli stessi. Forse un po’ più filo-governativi”. Sulla politica di Draghi ha aggiunto: “Credo sia difficile che Draghi e il suo governo possano minare i capisaldi dei due partiti più forti all’interno della nuova maggioranza. Vedo fattibile la riforma fiscale: non la riduzione delle tasse, ma la riformulazione del sistema fiscale. Non mancherà il tema della burocrazia e piccole riforme della scuola“.

“Non so cosa abbia in mente Draghi, ma mi immagino un discorso di insediamento in cui si faccia riferimento all’ammodernamento del Paese e alle riforme. Ma ritengo non saranno riforme in grado di rivoluzione l’equilibrio italiano”, ha precisato. Quella di Draghi è “una vocazione istituzionale. Penso possa battagliare per ottenere, in futuro, la presidenza della Repubblica. E io ne sarei contento”.

La scelta di Salvini

La crisi di governo e la successiva scelta di Mario Draghi da parte di Sergio Mattarella ha generato effetti politici dirompenti. Ha colpito la scelta del leader della Lega Matteo Salvini: un cambio di pensiero o una strategia per avere voce in capitolo e non restare all’opposizione?

Secondo l’esperto, “Bagnai, Borghi e altri leghisti erano anti-europeisti e anti-Euro. Adesso invece sostengono il governo del “signor Euro”, di colui che ha salvato l’Euro. Ritengo però che tutti possano cambiare idea e modificare le proprie posizioni. Oppure andare al governo con chi la pensa diversamente per perseguire un percorso comune, cioè assicurarsi la risposta europea dei 209 miliardi (a cui i contrari all’euro non dovrebbero mettere mano né gestirli), che è un vantaggio. Rispetto la scelta di Salvini: non cambia le sue posizioni ideologiche, ma sottolinea la validità dei fondi utili a smaltire la burocrazia e rilanciare la produttività del Paese. È un pensiero che condivido. Serve a offrire una spinta di crescita al Paese, le cui problematiche non arrivano con il Covid-19. Sono molto più antiche e riguardano le strutture profonde della società e della cultura italiane”.

Meloni e il suo partito all’opposizione

Fratelli d’Italia, che ha deciso di stare fuori dal nuovo governo, ha compiuto una scelta coraggiosa: è tatticamente intelligente e consente di porre critiche costruttive per aiutare l’esecutivo a fare meglio e meglio rappresentare i cittadini italiani. In chiave potenziale, il partito è una forza politica che oggi ha superato ampiamente il 15%, navigando verso il 20%. Significa che 2 italiani su 10 si affidano a Giorgia Meloni e alla sua politica”, ha giustamente sottolineato Pietro Paganini.

“Ritengo sia una scelta saggia restare all’opposizione: non vuol dire rifiutare il parlamentarismo, anzi è il contrario. Significa fare parte della vita parlamentare“, ha aggiunto.

Il Recovery Plan

Come gestire i 209 miliardi? A tal proposito, il professore ha spiegato: “Il primo obiettivo è fare in modo che questi soldi vengano non spesi, ma investiti, così da saldare il debito. I soldi devono servire a creare posti di lavoro e aiutare l’Italia a tornare produttiva, creando una quantità di merci e servizi che possano essere consumati ed esportati. Significa aiutare il settore produttivo ed elaborare una politica industriale alla quale Draghi dovrà pensare. Il sistema funziona se esiste un buon sistema di infrastrutture, dal 5G a quelle che permettono al Paese di muoversi e ricevere investimenti e merci altrui, rendendo il nostro Paese ancora più attrattivo, cioè un luogo in cui si desidera investire e produrre. È così che si creano posti di lavoro, si aumenta il benessere e, quindi, si migliorano le condizioni di vita dei cittadini”.

Si tratta di un progetto “ambizioso e non deve diventare un assalto alla dirigenza. I soldi devono essere investiti all’interno di un “progetto Paese”, pensando al benessere della collettività. Dobbiamo avere chiaro il nostro obiettivo: cosa vogliamo diventare? Siamo la città del turismo: deve essere rilanciato proprio il turismo di qualità, che in alcune città è stato perso. Meglio il turismo sciatto o un turismo di qualità? Ovviamente è meglio avere turisti che magari soggiornano solo pochi giorni nel nostro Paese, ma spendono e vogliono servizi di qualità”.