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Pompei, trovato lo scheletro di un bambino

bambino pompei

I resti sono venuti alla luce nel complesso delle Terme Centrali. Il piccolo aveva circa 7-8 anni al momento della morte, avvenuta nel 79 d.C.

Un ritrovamento importante, che può rappresentare una svolta nella ricerca archeologica: a Pompei, nel complesso delle Terme Centrali, è stato trovato lo scheletro di un bambino di 7-8 anni, vittima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Il cranio e le ossa sono emerse durante la pulizia di un ambiente di ingresso delle Terme. Lo scheletro è stato rimosso e portato al Laboratorio di ricerche applicate. Le analisi che saranno condotte permetteranno di conoscere con maggiore certezza l’età del bambino e determinare la presenza di eventuali patologie.

Il ritrovamento

Nel corso di un intervento di restauro e di consolidamento delle aree termali, portate alla luce durante la campagna di scavi del 1877/78, sono stati trovati i resti del fanciullo vissuto quasi 2000 anni fa. Il ritrovamento è stato possibile grazie alla tecnica del ‘video endoscopio’, usata per rilevare i pieni e i vuoti nel terreno. Risulta inusuale invece la posizione dei resti del bambino rispetto alla stratigrafia vulcanica del 79 d.C. Questo è un dettaglio che rende però importante il ritrovamento. Normalmente, nella stratigrafia vulcanica del Vesuvio, la cenere si trova in superficie; più in profondità, invece, è presente uno strato di lapillo (piccoli frammenti solidi di lava). In questo caso invece il lapillo non deve essere riuscito a entrare nell’ambiente, mentre è penetrato il flusso piroclastico (gas e materiale vulcanico) dalle finestre, nella fase finale dell’eruzione, ‘sigillando’ tutta l’area.

terme pompei

Nuovi fronti di scavo

La scoperta è frutto solo in parte di un caso fortuito; i lavori di ricerca a Pompei sono infatti sempre costanti, come ha sottolineato Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei: “Un team di professionisti specializzati- quali archeologi, architetti, restauratori ma anche ingegneri, geotecnici, archeobotanici, antropologi, vulcanologi- lavora stabilmente, fianco a fianco e con il supporto di strutture tecniche all’avanguardia, per non lasciare al caso nessun elemento scientifico, e dunque ricostruire nel modo più accurato possibile un nuovo pezzo di storia che, attraverso gli scavi, ci viene restituito”. Un approccio interdisciplinare è d’obbligo per ricostruire, con estrema precisione, gli usi e i costumi degli abitanti della cittadina sommersa dall’eruzione vulcanica del 79 d.C. L’ausilio di mezzi tecnologici è quindi non solo necessario, ma fondamentale. Attualmente si sta cercando di far riemergere un intero quartiere a nord di Pompei, rimasto finora inesplorato nel corso delle precedenti campagne di scavo. “Siamo in un fronte di scavo- spiega il professor Osanna a La Repubblica– cioè 22 ettari non scavati che incombono sull’area già esplorata e studiata. Ci sono inoltre quattro metri di lapilli a ridosso delle parti portate già alla luce che possono creare criticità”. La campagna di scavi parte da un vicolo completamente sepolto, per poi spostarsi verso gli edifici adiacenti, probabilmente case, botteghe, taverne: nel sito archeologico si ha la possibilità di capire uno spaccato di vita quotidiana diversa dalla nostra. “Possiamo finalmente comprendere la materialità degli oggetti, così come sono stati sepolti dall’eruzione”, conclude Osanna.