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Posate subito quello Spritz. Quest'estate, si (ri)beve il Gin Tonic!

gin tonic

Dopo lo spritz, il gin tonic: non solo un altro cocktail alla moda. Il ritorno del gin tonic risale a una ventina di anni fa. Un risveglio difficile, dei ricordi offuscati, un cerchio alla testa e un gusto amaro in bocca. Il gin (e non parliamo ancora di gin tonic) è stato tutto questo, per molto...

Dopo lo spritz, il gin tonic: non solo un altro cocktail alla moda. Il ritorno del gin tonic risale a una ventina di anni fa.

Un risveglio difficile, dei ricordi offuscati, un cerchio alla testa e un gusto amaro in bocca. Il gin (e non parliamo ancora di gin tonic) è stato tutto questo, per molto tempo. “Il tipico alcolico da festa, l’alcool della disco degli anni ’80-’90, e non certamente di buona qualità” riassume Frank Poncelet, direttore di BarMag. Non si riesce a pensare a nulla, il mal di testa aumenta. Il gin era l’alcool delle prime sbornie che fanno star male, quelle che fanno dire “no, davvero, mai più“. Così, disgustati per molto tempo dal suo sapore, si passava al rum, alla vodka o al whisky.

Per fortuna, alcuni intenditori dal palato fine hanno sentito cambiare il vento… prima di tutti gli altri. All’epoca erano considerati dei punk, racconta spesso Alexandre Gabriel, creatore nel 1996 del famoso gin Citadelle, prodotto dalla distillazione del Cognac della Charente. Bombay Sapphire con la sua bella bottiglia blu, Hendricks e il suo gin al cetriolo, G’vine con il gin a base di uva, questi precursori rinnovano, rispolverano e riportano (nell’arco di vent’anni) il gin al suo punto di partenza, come possiamo constatare oggi: un gin artigianale, ricco di aromi e soprattutto completamente diverso. Una grande felicità per i bartender innamorati dei cocktail, i quali contribuiscono certamente a portare prestigio al nuovo gin.

Un cambiamento artigianale

Stanislas Jouenne è uno dei più grandi difensori del gin in Francia. E visto il suo CV, possiamo immaginare che conosca molto bene le ragioni di questo ritorno: 25 anni nel campo degli alcolici di cui più di 17 dietro i banconi dei bar. Anni d’esperienza, dunque, che gli hanno permesso di notare e capire come cambiano, nel tempo, i gusti dei consumatori. Per esempio, quando lavorava in un grande negozio di alcolici, “realizzò una vetrina interamente dedicata al gin, mettendo davanti 250 tipi di gin, per un mese” e “si stupì nel vedere che c’era una clientela numerosa interessata proprio al gin, ed in più una clientela abbastanza eclettica per quanto riguarda l’età”. E fu in questi casi che pensò,:”Bisogna creare il primo bar specializzato nel gin, in Francia“.

Così Stanislas non ha esitato a lungo. Lo scorso dicembre (2015) ha aperto il Tiger, primo locale 100% gin a Parigi, nella rue Princesse. Una scommessa rischiosa? No, fin quando ci accorgiamo del successo del gin proprio vicino a noi. “Quando fai un’analisi del mercato, ti rendi conto che in Spagna e in Belgio, il mercato del gin è in piena espansione e la sua consumazione è ormai ancorata ai costumi con un menu di 50/60 tipi di gin in ogni bar e 15/20 toniche differenti.” Sei mesi dopo l’apertura, non solo la clientela è numerosa ma la sua idea è subito imitata: una “Gintoneria” ha aperto a Bordeaux a giugno 2016 e un altro ” bar da gin” aprirà le sue porte ad agosto, a Parigi.

Tuttavia, una domanda sorge spontanea: come si fa a non ricadere nella monotonia quando si serve solo gin? La risposta è semplice: il gin artigianale si sviluppa ad una velocità impressionante e l’offerta è incredibile. Dunque, non c’è da annoiarsi. Secondo uno studio di Mintel GMPD, nel mondo la quantità di gin artigianale, in rapporto alla vendita di gin globale, è passata dal 9% nel 2011 al 23 % nel 2015. Gli alcolici artigianali sono in gran rialzo, particolarmente nei paesi in cui i consumatori sono alla costante ricerca di offerte originali e chiedono “le marche di alcolici più autentiche, locali, interessanti e meno industriali“.

Risultato: sugli scaffali del Tiger, si ammirano più di 80 tipi di gin provenienti da tutto il mondo, scelti con cura per proporre ai clienti la più vasta scelta di sapori possibile. “Ogni distillatore creerà la sua ricetta, il suo particolare gin. Dunque, questo vuol dire che ci sono pale aromatiche diverse, registri organolettici differenti.” Traduzione: si possono bere tutti i gin tonic del menu senza mai avere l’impressione di bere lo stesso cocktail. Questo lavoro sul gin ha contribuito in gra parte al suo ritorno nel cuore dei consumatori.

Il gin non è più secco, amaro, di solito sgradevole anche con litri di soda al limone. Diventa più complesso e l’aggiunta di sapori lo addolcisce, lo rende più bevibile, anche per le papille più refrattarie. “Per il consumatore, è l’ideale: esiste un gin per tutti i palati” riassume Stanislas Jouenne. Ed il gin si inserisce facilmente in un circolo vizioso: i produttori lanciano nuovi gin, che danno voglia i bartender di innovare e creare cocktail seducenti per i loro clienti, che richiedono e inducono i produttori a continuare per questa strada. E così via.

Alcool neutro + ginepro: dopo si aggiunge quello che si vuole

Lo sviluppo esponenziale del gin si spiega anche con il suo carico d’oneri, semplicissimo e soprattutto molto “aperto”. Il gin è un alcool neutrale con il sapore delle bacche di ginepro, il quale deve restare dominante. A questo si può aggiungere assolutamente quello che si vuole. “Puoi avere del cardamomo, dei chiodi di garofono, un’arancia, un limone, un pompelmo, un cetriolo, una rosa, un po’ di noce moscata, della radice d’angelica, un po’ di coriandolo…” enumera a caso Stanislas Jouenne. Una tale libertà stuzzica l’immaginazione:

Siamo in un periodo in cui il gin è davvero riscoperto dagli specialisti dell’alcool, spiega Clément Sargeni, creatore della Gintoneria, a Bordeaux. Fanno molta attenzione alla qualità del primo alcool utilizzato, scegliendo con cura i prodotti da aggiungere al suo interno: voglio di qualcosa di molto particolare, con 40 spezie? O qualcosa di molto semplice? Voglio delle erbe? Dei fiori? ecc…

Ad esempio, la nuova marca di gin Lybr, originaria dell’Herault, ha saputo approfittare di questo momento per lanciare il suo gin di vino. Il cocreatore del marchio, Renaud Berthoud è prima di tutto vignaiolo, specializzato nei vini naturali. Ha trovato nel gin l’opportunità di utilizzare intelligentemente i vini di cui non era soddisfatto o che hanno avuto dei problemi di vinificazione. “Questi vini non possono più essere venduti in quanto vini, anche se paradossalmente sono super sani. Allora ci si è detti, perché non trasformarli in gin?“. L’idea del gin è giunta dopo una serata a Parigi col suo futuro socio, Yann Lioux, commerciante di vino. Lungi “dal cattivo ricordo un po’ traumatico dell’orribile gin tonic bevuto a 16 anni” si rendono conto che è “un alcool eccellente e che, con una buona tonica, darebbe vita ad un cocktail molto interessante“.

Dopo un incontro con un distillatore i due mettono a punto la ricetta, studiando con precisione ogni singola bacca di ginepro che avrebbero utilizzato. Il marchio è lanciato nel giro di pochi mesi e le prime bottiglie iniziano subito ad essere vendute. Una rapidità che non sarebbe stata possibile se il gin non fosse entrato nel mondo degli alcolici. In questi modo il gin diviene il miglior amico delle start-up, come sottolinea lo studio Mintel:

Agli occhi dei produttori tradizionali, la produzione del gin presenta il vantaggio di svilupparsi in giorni e non negli anni, come nel caso del whisky. Il gin appare così come un prodotto di qualità per le start-up che cercano di allineare la produzione di alcolici più pregiati nelle relatà del mercato“.

Gin to’, punta di diamante tra i bicchieri alla moda.

La rinascita del gin artigianale ha naturalmente trascinato nel suo percorso quella di un cocktail tanto semplice quanto mitico: il gin tonic. Oggi come ieri, resta la punta di diamante del gin, come il mojito lo è stato per il rum o più recentemente lo spritz per l’aperol. Un cocktail rinfrescante, semplice e alla portata di tutti che contribuisce alla diffusione del gin.

Inoltre, la cultura del gin tonic sembra impiantarsi durevolmente in Francia. L’occasione per i bartender di portare una ventata di giovinezza ai classici cocktail e di attirare nuovamente l’attenzione dei consumatori. Il gin tonic servito come long drink con una fettina di limone, non è più in voga. No, oggi si beve il gin tonic in un bicchiere largo e profondo, come quei grandi bicchieri da cognac recentemente diffusi dallo spritz.

Clément Sargeni sottolinea in seguito che nel gin tonic, “c’è gin e acqua tonica. Bisogna dare la stessa importanza all’uno e all’altra“. Alla Gintoneria, utilizzano 7 toniche diverse, aggiunte con precauzione ad ogni gin. Infine, la grande novità del gin tonic 2016 è l’attenzione nei confronti della decorazione.

Non si tratta di fare un’insalata, aggiungendo un ingrediente qualunque, informa Stanislas Jouenne. Si devono trovare le caratteristiche precise di ciascun gin, guardare la sua composizione e trovare 1/2 ingredienti adeguati che sapranno decorare perfettamente il gin tonic”.

È in seguito che il talento del bartender si esprime: prima rinfrescare il bicchiere con i cubetti di ghiaccio, eliminare l’acqua in eccesso, versare il gin, la tonica, passare la fettina di limone sui bordi del bicchiere per lasciarne l’essenza e, perché no, aggiungere un ramo di rosmarino che sarà leggermente bruciato prima di esser servito. O magari aggiungere ad un gin a base di uva, una tonica italiana e qualche acino d’uva fresca e di uva passa, prima di aggiungere uno spruzzo di infuso al gelsomino.

Conclusione definitiva: nulla a che vedere con il gin tonic che ci servivano in discoteca 10 anni fa!