Un’accoglienza a luci rosse per i migranti arrivati a Prato in Toscana, nella parrocchia di don Francesco Spagnesi. Crescono le accuse rivolte al sacerdote che nel dicembre aveva già patteggiato una condanna a tre anni e otto mesi per spaccio di droga continuato, appropriazione indebita dei soldi della parrocchia e truffa ai danni dei fedeli.
Chiesto un risarcimento di 180mila euro
Il consiglio pastorale della parrocchia da lui guidata per anni ha promosso una causa civile contro di lui, chiedendo un risarcimento di 180mila euro. Stando a quanto dichiarato dai fedeli, il prete avrebbe utilizzato i soldi delle offerte per acquistare cocaina e gbl (la cosiddetta «droga dello stupro»). Sostanze che poi avrebbe consumato nei festini a luci rosse per soli uomini, organizzati insieme al compagno e ai quali avrebbero preso parte anche migranti sieropositivi. La causa è in corso al Tribunale di Prato: i legali di don Spagnesi avrebbero chiesto la restituzione della somma in piccole rate ma la proposta sembra essere stata stroncata sul nascere.
Formalmente è ancora un sacerdote
Quando i soldi delle offerte non bastavano, il parroco 42enne chiedeva offerte extra da devolvere a famiglie messe in difficoltà dal Covid che in realtà utilizzava per i suoi festini hard. Parroco, sì. Spagnesi resta formalmente ancora un sacerdote. Lo scorso anno annunciò l’intenzione di smettere l’abito talare e di riprendere gli studi universitari, ma il primo proposito sembra non aver preso forma. Seppur rimosso dalle funzioni e privo dello stipendio erogato dall’Istituto per il sostentamento del clero, don Spagnesi continuerebbe a percepire un sussidio dalla Cei. E questo è inaccettabile. Va avanti tuttavia il procedimento canonico aperto nei suoi confronti dal Vaticano che potrebbe (e dovrebbe) portare alla riduzione allo stato laicale dell’uomo.