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Putin e la cortina fumogena della pandemia: il suo vero alleato è il Covid

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Putin, con l’intento di “denazificare l’Ucraina” se la sta mangiando a bocconi sotto gli occhi di un mondo che sanziona e si indigna, ma che tutto sommato è inerme.

Poco meno di un anno fa Vladimir Putin si fece editorialista di grana fina e scrisse un lungo articolo: “Sulla storica unione dei russi e degli ucraini“. In quel pezzo dal tono un po’ da vaniloquio unionista il leader della Federazione Russa smise di andare a cavallo degli orsi e di fare a braccio di ferro con le tigri, divenne lirico e sparò slogan come si spara da una mitraglia. Erano spottoni su come Russia ed Ucraina che “sono lo stesso popolo”, unificato da una lingua comune e da radici storiche saldissime, dovessero tornare un tutt’uno.

Vladimir si fece anche erudito in etimologia e spiegò, con l’appeal impunito di chi non ha mai avuto censori, che “Ucraina” significa periferia e che quindi tutto gridava a ché il paese con Kiev capitale tornasse lieto e festante alla Madre Russia.

Ecco, se l’anno scorso il mondo avesse vissuto un clima normale e di canonica attenzione, roba che in tempi convenzionali si riserva alle scalmane degli autocrati con tanto piombo in cantina, le parole di Putin del 2021 forse avrebbero fatto alzare le antenne ai servizi di mezzo pianeta. A quelli ed ai governi che per mission hanno la geopolitica alta in stand by permanente, non un tanto al chilo come noi che da Roma guardiamo il mondo senza capire quasi mai una mazza di quel che vi accade.

E forse l’analisi di quelle parole avrebbe evitato, in iperbole ma non troppa, quel che oggi succede, che cioè Putin, l’ex agente segreto Putin, con l’intento di “denazificare l’Ucraina” se la sta mangiando a bocconi sotto gli occhi di un mondo che sanziona e si indigna, ma che tutto sommato è inerme.

E non è iperbole azzardare che se l’anno scorso gli spot più attenti del mondo andarono ciechi e ramenghi fu anche per colpa della pandemia. Esatto: mentre Putin un anno fa già chiamava l’Ucraina “provincia” le nazioni erano impegnate a fronteggiare la seconda o terza o millemilesima ondata del Covid e su tutto l’Occidente vigeva quella “distrazione” un po’ giusta, un po’ pivella, per cui tutto ciò che non avesse a che fare con sanità, vaccini e statistiche era robetta da seconda linea.

E forse perfino un matto patentato come Donald Trump non ha avuto tutti i torti a definire Putin “un genio”. Perché dato per assunto che non sempre la genialità è a servizio dell’etica non si può non riconoscere, a seguire questa falsariga, la straordinaria capacità di Vladimiro non solo di usare la pandemia come cortina fumogena, ma addirittura di apparecchiarci sopra la “polpa strategica” del suo cesarismo forsennato e sciagurato.

Quattordici divisioni in assetto operativo, una marina e i vettori ipersonici non li apparecchi, non li prepari, non li metti a loop di piano di invasione in quattro briefing in due mesi. No, le guerre, anche quelle che piacciono a Putin secondo l’infida dottrina del suo generale-teoreta Gerasimov, non le impalchi in una manciata di settimane, neanche se sei la Russia. E soprattutto delle guerre tu studi più la capacità di reazione di chi le osteggerebbe più di quanto non studi la tua capacità di farle.

Ecco perché Putin ha previsto esattamente anche quello che sta succedendo in queste ore: che cioè oggi, mentre l’attacco impunito è in atto, nessuna delle grandi nazioni occidentali è in grado di distogliere dalle proprie economie, pianificate a recuperare ciò che il Covid ha tolto ai Pil, risorse necessarie per affrontare qualcosa di più che le tiepide sanzioni. Salterebbero interi sistemi di governo, a contare che nei paesi in questione c’è la democrazia vera e se ti vai ad impelagare in un braccio di ferro all’estero gli elettori che vogliono riprendere a vivere e vedere stipendi ti cacciano a pedate.

Non è un problema di rispondere alla guerra con la guerra, ma di dare l’impressione ferrea che il mondo sia attento e pronto a cassare ogni tentativo di portarci il caos, è un problema di clima, non di azioni vere. La geopolitica è tutto un gioco di pesi e contrappesi e difficilmente tracima da bluff a fattualità, a meno che gli equilibri non vadano in vacca, in quel caso chi gioca duro vince quasi sempre. E in quella coltre bigia per cui la pandemia ha sconvolto anche la bussola geopolitica del mondo lui, Vladimiro Putin, ci ha acceso il faro abbacinante del suo imperialismo ma aveva messo la spina nella presa già da un anno fa.

E ci ha accecati tutti perché il Covid ci aveva messi al buio.