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Racconti di viaggio: Italia-India a bordo di una 127

Italia-India

La storia di un viaggio dall’Italia all’India, fatto a fine anni 70 da una famiglia particolarmente avventurosa, via terra e ovviamente senza internet

Il road trip è sicuramente uno dei modi di viaggiare più affascinanti in assoluto. Il più famoso nel mondo è probabilmente quello da San Francisco a San Diego, in California, ma ce ne sono molti altri altrettanto coinvolgenti (come quello che si può fare sulla Ring Road 1, in Islanda). Una famiglia particolarmente avventurosa ne fece, nel 1978, Italia-India.

Armati di un furgone attrezzato dal padre, di una Fiat 127 a cui era stato tolto il sedile del passeggero per consentire di dormire nell’abitacolo, carte stradali e diario di viaggio, la famiglia era partita per l’India. Erano papà, mamma, sorella, Elisabetta e la zia, con Terry, il suo dobermann, e Susy, il piccolo meticcio della zia.

Il viaggio di Elisabetta e la sua famiglia è stato tutto documentato grazie a sua mamma, che ogni giorno annotava nel suo diario ciò che succedeva, e la gran quantità di diapositive, ora digitalizzate. Il viaggio durò tre mesi e mezzo.

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I genitori di Elisabetta hanno sempre amato i viaggi rigorosamente via terra e, infatti, hanno fatto girare alle loro bimbe mezza Europa – con diverse incursioni in Africa – con un furgone. Per loro, raggiungere un luogo con l’aereo toglie il gusto di vedere i paesaggi cambiare un po’ alla volta ed è come non essersi conquistati la meta. Così, quando Elisabetta e sua sorella hanno avuto rispettivamente otto e dieci anni, i genitori hanno deciso che era il momento di fare il tanto desiderato viaggio in India.

Come fu orgogliosa Elisabetta di aver vissuto quell’esperienza! Ricorda ancora con piacere quanto da bambina amasse raccontare del suo viaggio a tutti e ora si rende conto quanto i suoi genitori siano stati bravi a gestire qualunque imprevisto. E di imprevisti ce ne sono stati.

Come quella volta che, mentre dormivano in un’area di servizio in India, qualcuno rubò dal deflettore posteriore della 127 portafoglio e documenti alla zia. Rimanere senza passaporto all’epoca era un problema molto più difficile da risolvere di adesso. Si dovettero accampare al posto di polizia, mentre per due giorni il padre e un poliziotto sparirono. Fortunatamente l’incidente si risolse bene. Tutto per merito di Susy, il cagnolino della zia, che aveva morso il ladro durante il furto. Così, cercando tra i dottori chi avesse medicato un paziente con un morso di cane, riuscirono a recuperare ladruncolo e refurtiva.

Ci fu anche quella volta in cui arrivarono a Teheran proprio in settembre del 1978, il primo giorno di coprifuoco dopo l’inizio della rivoluzione. Loro non ne sapevano nulla (e come potevano? Non avevano certo smartphone con loro) e dovettero dormire in piazza circondati dai carri armati.

Ma ciò che rende Elisabetta più felice è il fatto di aver imparato a viaggiare prima dei tempi di internet e dei gps. Di aver imparato a uscire dalla sua zona di comfort, a fronteggiare gli imprevisti, a godere delle cose belle delle altre culture e dell’ospitalità della gente. Come quando, durante il loro viaggio, la gente li accoglieva in casa e offriva loro the e ospitalità.

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Certo fu un viaggio molto spartano, un tipo di viaggio che adesso forse non si potrebbe nemmeno più fare. Dormivano nei posti di polizia e quello da cui partivano alla mattina, avvisava il posto successivo che loro sarebbero arrivati per la notte. Si sono adattati alle più estreme condizioni climatiche. Alla pioggia torrenziale dei monsoni, al caldo afoso, alle esondazioni in strada. Col senno di poi, Elisabetta riconosce che il loro viaggio fu rischioso e non lo consiglierebbe. Non fatto allo stesso modo. Consiglia però di osare sempre un po’ di più, di raccogliere il coraggio e uscire nel mondo per scoprire tutto quello che c’è da conoscere.