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Ravenna: maltrattamenti e insulti al figlioccio gay

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Sottoponeva il figlioccio 15enne gay a ogni sorta di maltrattamento: era arrivato persino a infilargli in bocca i suoi calzini sporchi

Umiliava il figlio di 15 anni della compagna definendolo “gay”. Inoltre lo fotografava nudo in bagno, colpendolo sul sedere con un cucchiaio e arrivando persino a mettergli la testa nel water, tirando poi lo sciacquone. Un 45enne di Ravenna è stato assolto in primo grado nel 2016 dopo essere stato indagato per simili accuse. Ora però, come riporta “Il Resto del Carlino”, la Corte d’Appello, su sollecito della Cassazione, ha rivisto la sentenza. L’uomo è stato infatti condannato a un anno e quattro mesi di carcere.

La sentenza di primo grado lo assolveva perché il fatto non sussisteva. L’uomo dovrà ora pagare al giovane anche un risarcimento pari a diecimila euro. Il minore, come è stato riconosciuto, veniva sottoposto a “condotte psicologicamente violente mediante la reiterazione sistematica di atti di disprezzo e di denigrazione”.

A una prima analisi, come detto, il Tribunale di Ravenna non aveva visto in quel comportamento le caratteristiche di un maltrattamento penalmente rilevante. Le azioni dell’uomo erano dunque state relegate all’ambito di “situazioni di vita in parte ordinarie. In parte poco urbane, in altra parte frutto di sottocultura e maleducazione”. Tuttavia, come scriveva il giudice nell’aprile 2016, “non idonee a costituire reato”.

Reato di maltrattamento: sentenza ribaltata

Tutto questo era anche suffragato dal fatto che la stessa moglie aveva attribuito all’uomo “un manifesto infantilismo”. Il suo era considerato “un contesto di immaturità che nulla ha a che fare con i maltrattamenti”. Come esempio erano stati portati i litigi che il 45enne aveva con il ragazzo per contendersi la playstation. Per questo motivo la Procura e le parti offese, ossia l’ex moglie e il figlio di lei, considerato gay dal patrigno, hanno deciso di fare appello.

Il pubblico ministero ha dunque attribuito al Tribunale di Ravenna un’“erronea applicazione” del reato di maltrattamento. Nel dettaglio è stato ribadito come il minore venisse sottoposto a “condotte psicologicamente violente mediante la reiterazione sistematica di atti di disprezzo e di denigrazione”. Inoltre il gioco veniva usato “come strumento per esercitare violenza morale”, ma anche “per nasconderla”. Concetti similari erano del resto quelli espressi nel ricorso della parte civile, secondo cui il patrigno avrebbe ridotto la vittima “in condizione di soggezione, costretta al silenzio e alla sopportazione”. Di fatti, come raccontato dal ragazzo, lui stesso avevo cominciato a rassegnarsi al fatto di “stare zitto, subire quello che dovevo e poi basta”.

Secondo il parere della Suprema Corte, tuttavia, “qui ci si trova in presenza di condotte sicuramente maltrattanti, caratterizzate da disprezzo nei confronti della personalità morale e della dignità del minore, e da minute ma reali violenze fisiche e morali”. Per questo il ricorso è stato accolto, tanto che il giudizio è stato rinviato alla Corte d’Appello di Bologna. Quest’ultima ha dunque rivisto la sentenza di primo grado, pertanto alla condanna del 45enne e al pagamento di un risarcimento in denaro a favore del ragazzo.