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Diciamoci la verità: ogni anno, quando si avvicina il 19 luglio, il ricordo di Paolo Borsellino e della sua scorta riemerge come un riflesso doloroso di una ferita che non si chiude. La strage di via D’Amelio, avvenuta 33 anni fa, non è solo un evento storico, ma un monito costante su quanto sia fragile la nostra democrazia in presenza della mafia.
Non basta commemorare; è indispensabile agire e riflettere su ciò che la memoria ci impone.
Il peso della storia e la lotta contro la mafia
Il 19 luglio 1992, la mafia colpì al cuore dello Stato, uccidendo Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Questo attacco non era solo un omicidio, ma un tentativo eversivo di minare le istituzioni democratiche. La mafia ha sempre cercato di intimidire e sottomettere, e purtroppo, la storia dimostra che non è mai stata completamente sconfitta. Secondo i dati dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata, le attività mafiose continuano a essere una piaga per l’Italia, con incalcolabili danni economici e sociali.
Ma la narrazione mainstream tende a minimizzare l’impatto di questo fenomeno, suggerendo che la mafia sia un problema di un passato remoto. La realtà è meno politically correct: la mafia è viva e vegeta, e le sue cellule sono infiltrate in vari settori, dalla politica all’economia. Ecco perché il sacrificio di Borsellino e Falcone deve essere visto non solo come un atto di eroismo, ma come un invito urgente a tenere alta la guardia.
La memoria come responsabilità collettiva
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato di riconoscenza verso coloro che hanno combattuto contro questo “cancro”. Ma chi sono realmente questi eroi? Non solo i magistrati, ma anche i cittadini comuni che, ogni giorno, mettono a rischio la propria vita per difendere la legalità. La memoria di Borsellino deve tradursi in azione concreta e in responsabilità collettiva. Ricordare senza agire è solo un esercizio di retorica.
Ogni anno, le cerimonie commemorative rischiano di diventare rituali vuoti, a meno che non siano accompagnate da un impegno reale. Le parole di Giorgia Meloni, che parlano di libertà e giustizia, sono importanti, ma rischiano di rimanere lettera morta se non seguite da misure concrete contro le mafie e la corruzione. La lotta deve continuare, e i giovani devono essere coinvolti, non solo come spettatori, ma come attori di un cambiamento.
Conclusioni disturbanti ma necessarie
Oggi, a 33 anni dalla strage, il messaggio di Borsellino è chiaro: la vera lotta alla mafia è una questione di coerenza e coraggio. Non possiamo permetterci di dimenticare. Ogni volta che chiudiamo gli occhi di fronte alla corruzione o all’illegalità, tradiamo la memoria di Borsellino e di tutti coloro che hanno perso la vita per la giustizia. Siamo chiamati a essere testimoni attivi e a non cedere all’indifferenza.
Quindi, cosa possiamo fare? Iniziamo a chiederci ogni giorno: come posso contribuire a un’Italia più giusta? La memoria deve tradursi in azione, e ciascuno di noi ha un ruolo in questo impegno. Onoriamo Borsellino e le sue vittime non solo con parole, ma con fatti concreti, perché la lotta contro la mafia è una battaglia che non può mai fermarsi.