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Caso Rigotti: detenuto in fin di vita, negati i domiciliari

Rigotti Poggioreale

Al detenuto in fin di vita il magistrato ha negato i domiciliari. L'uomo, ormai prossimo ala morte, può ricevere un'ora di visita la settimana

Mio padre adesso è come un pacco, non è rimasto più niente di lui, il tumore alla laringe si allargato a tutta la faccia e non si può più operare”. Così Annunziata Rigotti descrive la situazione del padre 62enne Ciro Rigotti.

L’uomo in fin di vita in ospedale

L’uomo è un detenuto del carcere di Poggioreale, dove sconta dal 2006 una condanna per traffico di stupefacenti. Ed è ora ricoverato all’ospedale Cardarelli di Napoli in fin di vita.

All’uomo è infatti stato diagnosticato un cancro terminale alla laringe, ma il magistrato che si è occupato del suo caso ha rifiutato di concedergli i domiciliari. Ciro Rigotti rimane quindi piantonato nella sua camera di ospedale, e per lui vigono le stesse regole del penitenziario, che concedono solo un’ora di visita alla settimana.

La richiesta della famiglia

La sua famiglia chiede che all’uomo sia data la possibilità di non morire da solo, e vorrebbero poterlo portare a casa. O, se non fosse possibile, chiedono che sia almeno concessa loro la possibilità di stargli accanto in ospedale.

Una situazione sulla quale interviene anche l’associazione ex detenuti di Poggioreale. Secondo il presidente Pietro Ioia, infatti, “forse il giudice non ha ben compreso la situazione. Ciro non è più un detenuto, ma un uomo in punto di morte.”

Tempi lunghissimi per la diagnosi

Il presidente segnala inoltre la disastrosa situazione sanitaria vissuta dai detenuti di Poggioreale. Infatti, stando a quanto dichiarato dai famigliari di Ciro, l’uomo avrebbe riscontrato i primi problemi nel corso del maggio 2018. A quel mese risalgono infatti i primi episodi di forti dolori all’orecchio e di epistassi, che sono però stati curati con antidolorifici e dell’ovatta. È stato il forte dimagrimento del padre che ha portato i figli a richiedere una visita specialistica, che lo ha trovato dimagrito di 30 kg, e con un probabile tumore al naso.

A metà luglio parte quindi la richiesta di sottoporre l’uomo ad una Tac, ma il via libera arriva solo il 31 agosto 2018. Il 5 settembre gli hanno fatto la biopsia, e il 7 lo hanno riportato in carcere.

I tempi di diagnosi troppo lunghi hanno – secondo i parenti della vittima – impedito di iniziare delle cure che, se tempestivamente avviate, avrebbero anche potuto salvarlo. Per questo hanno incaricato il proprio legale, Bruno Canfora, di presentare un’esposto alla Procura della Repubblica, per “chiarire se si sono verificate negligenze nel trattamento sanitario all’interno del carcere”