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Coronavirus, nuovo studio: "Uccide il doppio dove aria è più inquinata"

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Il particolato atmosferico riesce a trasportare il coronavirus: un nuovo studio rivela che più è alto il tasso di inquinamento, più il virus è letale.

Il prolungato lockdown a causa dell’emergenza coronavirus aveva abbassato i livelli di inquinamento atmosferico. In Cina, colosso asiatico che ha ripreso le attività prima dell’Italia, le emissioni sono tornate a salire. Situazione analoga nel nostro Paese, che dal 18 maggio cerca di tornare alla normalità. Nonostante la pandemia abbia acceso i riflettori mondiali attorno all’emergenza climatica e ambientale, la situazione non sembra sia migliorata. Tuttavia, per la salute di tutti, sarebbe bene porre maggiore accortezza: è stato dimostrato che il particolato atmosferico è in grado di trasportare il virus. Un nuovo studio, inoltre, spiega che più è alta l’esposizione alle polveri, più aumenta la probabilità che il sistema respiratorio sia predisposto a una malattia più grave e di maggiore letalità. Sembra ormai certo il rapporto tra il Covid-19 e l’inquinamento: non solo lo smog favorirebbe la diffusione del virus, ma lo renderebbe ancora più letale.

Coronavirus, il rapporto con l’inquinamento

Il merito è di uno studio quasi interamente italiano, che ha compreso la stretta interconnessione tra la letalità del coronavirus e i tassi di inquinamento nell’aria. Così si è scoperto che: “Il coronavirus uccide di più dove l’aria è inquinata”. La ricerca ha preso in esame i dati di comuni e province italiane, considerando il numero dei contagi e dei decessi, per verificare se il virus fosse più letale dove è peggiore la qualità dell’aria.

Così è emerso che nelle zone più inquinate la mortalità è il doppio di aree geografiche in cui l’aria è più pulita. “Le nostre stime indicano che la differenza tra province più esposte a polveri sottili (in Lombardia) e meno esposte (in Sardegna) è di circa 1.200 casi e 600 morti in un mese, un dato che implicherebbe il raddoppio della mortalità”. A dichiararlo a La Stampa è stato il responsabile dello studio, il professor Leonardo Becchetti.

Insieme a Becchetti, professore dell’Università Tor Vergata di Roma, ha lavorato nell’indagine anche il collega Gianluigi Conzo di Tor Vergata, Pierluigi Conzo dell’università di Torino e Francesco Salustri, del Centro di ricerca sull’economia della salute dell’Università di Oxford. “Il nostro studio trova un’associazione statistica molto significativa tra inquinamento, contagi e gravità degli esiti del COVID-19”, ha aggiunto Becchetti.

Il virus nel particolato atmosferico

Il legame tra il nuovo coronavirus e lo smog era già stato evidenziato da Alessandro Miani, presidente di Sima. A le Iene, infatti, aveva spiegato che le polveri sottili trasportano il coronavirus.

Si tratta di una scoperta dal risvolto importante: “Potrebbe diventare un modo per capire quanto il coronavirus si sta diffondendo in una determinata zona”, ha spiegato Miani alla trasmissione di Italia 1. E ancora: “Se il virus si trova nell’aria, questo può essere usato come indicatore precoce per capire se si sta diffondendo di nuovo in una determinata zona e agire per evitare una nuova epidemia”. Infatti, se il periodo medio di incubazione del Covid-19 è di circa una settimana, la presenza nell’aria del virus potrebbe essere registrata subito. La rilevazione potrebbe essere fondamentale soprattutto nel corso della fase 2.