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Covid, la pandemia e gli effetti sulla psiche: come si affrontano

depressione e rischio nuovo lockdown

Emilio Mordini ha parlato di come combattere i disturbi della psiche ispirandosi a tre noti casi letterari.

La pandemia di Covid 19 e le relative misure per contenerla – lockdown, mascherine, distanziamento sociale, hanno un forte impatto sulla psiche. Chi uscirà indenne dalla malattia, rischierà comunque di non superare mai più il momento storico. In nostro soccorso è intervenuto però Emilio Mordini, medico psicoanalista sulla pagina Facebook “Pillole di ottimismo”, che ha parlato di come combattere i disturbi della psiche ispirandosi tra l’altro noti casi letterari.

Covid, la pandemia e gli effetti sulla psiche

“Sin dai primi mesi di questa epidemia si è parlato dei suoi possibili effetti sulla salute mentale, sia diretti (dovuti ad un’azione del virus sul sistema nervoso centrale) sia indiretti (dovuti alle misure di distanziamento sociale e all’isolamento, al clima generalizzato di paura, al mancato o insufficiente trattamento di disturbi preesistenti, e così via) – ha iniziato Emilio Mordini -. Già nel maggio scorso il Royal College of Psychiatrists avvertiva dell’arrivo di uno ‘tsunami di disturbi mentali‘, comprendendo sia nuovi disturbi provocati dalla condizione di stress, sia l’aggravarsi dei disturbi esistenti (1). Numerose indagini si sono succedute da allora, confermando quest’allarme (2). La maggior parte dei lavori ha ricercato la comparsa o l’aggravamento di sintomi psicologici e psichiatrici nella popolazione generale o in specifiche sottopopolazioni.”

“Come psicoanalista – continua Emilio Mordinidebbo confessare che raramente trovo simili studi interessanti. Tra l’altro, per lunga esperienza clinica, so che le persone tendono ad ingannare e ingannarsi rispetto alle proprie condizioni mentali e che i meccanismi di rovesciamento, diniego e spostamento sono così ubiquitari da rendere del tutto improbabili i risultati di questionari pur sofisticati. Lascio, quindi, ad altri il compito di discutere la validità di queste ricerche. Vorrei invece proporre una mia classificazione empirica di come diversi tipi psicopatologici affrontano la pandemia. Naturalmente esiste anche un modo ‘sano’ di gestire psicologicamente questa emergenza ma la salute mentale, come quella fisica, è un ideale che nessuno riesce davvero a raggiungere: così molti anche tra i ‘sani’ potranno, almeno in alcuni aspetti, riconoscersi nei quadri che descriverò.

Primo tipo di reazione

“Il primo tipo di reazione a questa epidemia è la ‘sindrome della casa degli Usher’ – ha spiegato il medico psicoanalista -. Il crollo della casa Usher è una famosa novella di E.A. Poe che racconta come il protagonista si rechi a far visita a un vecchio amico d’infanzia, Roderick Usher, che vive isolato nella casa di famiglia con la sorella Madaline. Fratello e sorella sono entrambi affetti da bizzarre malattie: l’uomo vive in una situazione di eretismo nervoso perenne mentre la donna vaga in uno stato crepuscolare tra la vita e la morte. Il racconto si svolge in un’atmosfera di crescente tensione, densa di sinistri presagi, che genera via via una situazione da incubo che esploderà nell’orrore finale. L’attesa di una catastrofe terribile ed inevitabile – ma di cui non si riescono a prevedere i contorni – è la chiave di questo racconto. Chi fa parte di questo tipo psicologico avverte nell’epidemia una minaccia oscura la cui presenza non riesce a tollerare né intellettualmente né emotivamente. Incertezza, segni inquietanti ed ambigui, impossibilità di fuga: tutto ciò risulta intollerabile a queste persone. Esse non temono tanto il rischio reale quanto la sensazione di attesa catastrofica, claustrofobica e inevitabile. Le persone che appartengono a questo gruppo sono anche quelle che risentono di più del clima di terrore creato dai media.

Ma come gestirla? “Un modo fondamentale è costruire una narrazione che colmi l’attesa, che allenti la tensione incombente (“Io leggerò ed voi ascolterete: così passeremo insieme questa terribile notte” dice ad un certo punto il protagonista della novella di Poe all’amico Roderick). Si tratta di narrazioni che, a seconda della formazione e della cultura della persona, possono presentarsi in forme scientifiche, pseudoscientifiche o decisamente fantastiche: lo scienziato, ad esempio, costruirà modelli matematici mentre l’ingenuo complottista sognerà del Gruppo Bilderberg ma – al di là del contenuto di verità dei rispettivi racconti – l’obiettivo di entrambi è anestetizzarsi dall’angoscia dell’attesa”.

Secondo tipo di reazione

Arriviamo quindi al secondo psicopatologico che è quello del “demone meschino”. “Il demone meschino è uno straordinario romanzo dello scrittore russo Fëdor Sologub e che narra il progressivo sprofondare nella follia e nella cattiveria di Peredònov, un oscuro professore di provincia. La storia è un allucinato apologo sull’avarizia e la misantropia e sul loro trasformarsi prima in solitudine, poi in delirio persecutorio, infine in morte. Coloro che sviluppano questa sindrome sono spesso persone affette da una certa rigidità emotiva, con una personalità caratterizzata da tratti ossessivi, a volte paranoici. Questi soggetti sono spontaneamente poco propensi ai contatti fisici, con una estrema attenzione all’igiene personale, però anche ambiguamente affascinati da tutti i prodotti di decadimento del corpo”.

“Per queste persone distanziamento fisico, grande attenzione alle deiezioni corporee e all’igiene personale, senso di pericolosità legato agli altri esseri umani, obbedienza all’autorità e persino ridotta possibilità di spendere per ristoranti, cinema, teatri, palestre, cure estetiche, vestiario e così via, rappresentano altrettante occasioni per soddisfare le proprie pulsioni senza dover entrare in conflitto con il prossimo ma, anzi, potendo vantarsi di essere buoni e responsabili cittadini. Tuttavia, nulla è più pericoloso per la mente umana che realizzare le proprie fantasie poiché esse, facilmente, si rivelano incubi.

Coloro che sono affetti dalla sindrome del demone meschino possono sembrare soddisfatti dall’epidemia – ha continuato il medico -. Ma, in realtà, progressivamente precipitano in una misantropia crescente e in un profondo dispetto nei confronti dell’intero genere umano. Leggono con avidità le descrizioni delle condizioni in cui versano i malati intubati e le sofferenze che patiscono, immaginano morti orrende per i giovani che hanno frequentato la movida, sono ossessionati dai macabri cortei di bare della primavera scorsa: in una parola si trovano immersi in un’opprimente atmosfera di morte. L’unico momento di relativa gioia resta per loro il parlare male degli “irresponsabili” (se sono medici, dei colleghi meno pessimisti di loro) e il commentare con sadica soddisfazione “ve lo avevamo detto” ad ogni peggioramento dell’infezione”.

E ancora: “La sindrome del demone meschino non risparmia nemmeno i cosiddetti “negazionisti” che, quando appartengono a questa tipologia, non negano l’esistenza di rischi alla salute ma li attribuiscono ad entità malvagie e misteriose (Big Pharma, vaccini, onde elettromagnetiche, 5G, medici rianimatori e così via) fantasticando malattie devastanti e morti orribili per i ‘covidioti'”.

Terzo tipo di reazioni

Arriviamo all’ultimo: “Il terzo tipo di reazioni all’epidemia è quello che chiamerò la “sindrome di Argante”, in onore al protagonista della commedia di Molière. “Il malato immaginario” racconta appunto la storia di un ricco ed ignorante borghese, Argante, spaventato ed affascinato dalle malattie e dalla medicina, che, dopo averne patite di tutti i colori per opera di una schiera di medici ciarlatani e avidi, si farà lui stesso medico al termine di una burlesca cerimonia di intronazione. La sindrome di Argante colpisce coloro che già erano di per loro patofobi e che, con questa epidemia, riescono finalmente a dar libero sfogo a tutte le paure. Molti di loro affollano il web ed i social, dove sono sempre alla ricerca di nuovi sintomi e nuovi trattamenti”.

“Costoro ne sanno sempre una più dei medici – prosegue Emilio Mordini con una nota polemica -. Non è raro che dispensino consigli, discutano modelli epidemiologici, valutino con preoccupazione le conseguenze long-term della malattia, sempre pronti, beninteso, a pendere dalle labbra di un nuovo luminare o virologo televisivo che li affascini”.