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Berlino, gruppo di scienziati mostra come il SARS-CoV-2 attacca il cervello

Studio Covid

Un gruppo di scienziati di Berlino ha studiato il modo in cui il SARS-CoV-2 attacca il cervello, originando l’infezione alla base della pandemia.

Un’indagine condotta da alcuni ricercatori tedeschi ha permesso di comprendere le dinamiche attraverso le quali il SARS-CoV-2 riesce a raggiungere il cervello. Il processo è stato immortalato tramite immagini scattate con l’ausilio del microscopio elettronico.

Il SARS-CoV-2 attacca il cervello: la spiegazione degli scienziati

Lo studio, condotto dagli scienziati afferenti al Dipartimento di Neuropatologia dell’Istituto Charité – Universitätsmedizin di Berlino in collaborazione con gli esperti dell’Istituto di Neuropatologia dello University Medical Center di Gottiga, del Robert Koch Institute, del centro di ricerca DRK Kliniken Berlin e di altri centri tedeschi, ha reso possibile comprendere le modalità che regolano l’infezione delle cellule del cervello da parte del Covid-19. La ricerca è stata coordinata dalla dottoressa Helena Radbruch e dal professor Frank Heppner, entrambi del Dipartimento di Neuropatologia dell’Istituto Carité, ed è stata pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience.

L’indagine è stata sviluppata esaminando campioni di tessuto estrapolati da circa 30 soggetti deceduti a causa del SARS-CoV-2: le analisi effettuate sui campioni hanno portato il team a riscontrare «prove della presenza del virus in diverse strutture neuroanatomiche che collegano occhi, bocca e naso con il tronco cerebrale». A questo proposito, è stato reso noto che la carica virale più elevata è stata registrata nella mucosa olfattiva.

I dati emersi, difatti, hanno permesso all’equipe di ricerca di apprendere che il virus raggiunge il cervello entrando in contatto con le cellule nervose che compongono la mucosa olfattiva. Tali cellule nervose, particolarmente vicine all’encefalo, consentirebbero al SARS-CoV-2 di risalire rapidamente il nervo olfattivo, aggredendo in poco tempo le cellule del tessuto cerebrale. Il percorso seguito dal coronavirus, pertanto, si è rivelato analogo a quello impiegato da altre forme virali quali, ad esempio, l’herpes simplex o la rabbia.

Cervello 01

Le immagini scattate con il microscropio elettronico

La sperimentazione scientifica condotta a Belino è stata corredata da immagini realizzate tramite microscopioelettronico, sfruttando tecniche di imaging all’avanguardia. In questo modo, è stato possibile individuare particelle virali intatte sia nelle cellule nervose che nelle cellule epiteliali di supporto.

Lo studio è stato commentato dal professor Heppner che ha dichiarato: «Questi dati supportano l’idea che il SARS-CoV-2 sia in grado di utilizzare la mucosa olfattiva come porta d’ingresso per il cervello. Ciò è supportato anche dalla stretta vicinanza anatomica delle cellule della mucosa, dei vasi sanguigni e delle cellule nervose nell’area. Una volta all’interno della mucosa olfattiva, il virus sembra utilizzare connessioni neuroanatomiche, come il nervo olfattivo, per raggiungere il cervello».

Cervello 02

Il nesso tra il tessuto cerebrale e le difficoltà respiratorie

Il team di ricerca tedesco ha scelto di dedicarsi allo studio dei tessuti cerebrali attaccati dal Covid in seguito all’aumento esponenziale dei sintomi neurologici diagnosticati nei pazienti risultati positivi al coronavirus. Secondo quanto evidenziato dall’Istituto Charité, infatti, almeno il 30% dei contagiati è soggetto a vertigini, nausee, emicranie, alterazioni di gusto e olfatto o altre anomalie legate al sistema nervoso che possono degenerare in ictus o altre patologie più gravi.

L’infezione contratta a livello cerebrale, inoltre, potrebbe svilupparsi anche attraverso spostamenti effettuati dal virus tramite i vasi sanguigni in quanto, come ha spiegato la dottoressa Radbruch, particelle di SARS-Cov-2 sono state rilevate «anche nelle pareti dei vasi sanguigni del cervello».

Un’alta carica virale, poi, è stata rinvenuta in zone del cervello che si occupano di regolare la respirazione e altre funzioni vitali. Una simile consapevolezza ha spinto gli autori dell’indagine a ipotizzare che le difficoltà respiratorie più volte registrate in pazienti positivi al Covid possano essere causate da un simile fattore e non soltanto dalla sindrome da distress respiratorio acuto ARDS o dalla polmonite interstiziale.

Infine, gli scienziati hanno ammesso che i dati codificati sono da attribuire a pazienti deceduti a causa dell’infezione, poiché avevano contratto una forma di Covid-19 grave. Non è certo, quindi, che tali risultati siano applicabili anche a coloro che manifestano sintomatologie virali in forme moderate o lievi.