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La colchicina riduce i ricoveri per Covid del 25%: lo studio

Colchicina-Zafferano-fiore

Secondo i risultati preliminari di uno studio, la colchicina ridurrebbe i ricoveri dovuti al Covid fino al 25%.

È uno dei farmaci più datati e, forse proprio per questo, tra i meno considerati nella ricerca medica. Eppure la colchicina ha fornito una prova definita clinicamente convincente nel trattamento del Covid-19.

La storia della colchicina

Pare che già gli antichi egizi facessero uso di questo alcaloide, estratto dallo zafferano selvatico. Secondo un papiro medico datato 1.550 a.C.; all’ombra delle piramidi si utilizzava la sostanza per combattere gonfiori.

Oltre tre millenni dopo, la colchicina è una delle grandi speranze per combattere l’infezione da coronavirus Sars-Cov-2.

Lo studio sui ricoveri

La colchicina oggi viene utilizzata soprattutto per trattare la gotta ma, data l’attuale emergenza sanitaria, si è deciso di impiegarla anche all’interno di studi clinici pensati per combattere il Covid-19. Essa sarebbe infatti in grado di prevenire la temuta tempesta di citochine. In altre parole, potrebbe ridurre le complicazioni dovute al coronavirus.

I dati sono ancora soltanto preliminari. Si è recentemente condotto un test in Canada, Stati Uniti, Europa, Sud America e Sudafrica e non esiste ancora alcuna pubblicazione; dunque il condizionale resta d’obbligo.

Lo studio in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo ha riguardato 4.500 pazienti, tutti trattati a domicilio. Dall’analisi finale risulta che l’impiego di colchicina avrebbe ridotto il rischio di ospedalizzazione – e morte – dei pazienti del 21% e all’utilizzo del farmaco è stato associato un calo del 25% di ricoveri; del 50% di necessità di ventilazione meccanica e del 44% di mortalità rispetto al placebo. Sono percentuali davvero incoraggianti.

Nuova speranza contro il Covid?

Naturalmente è ancora presto per cantare vittoria ma, come si è scritto, i risultati dei test sono positivi e aleggia ottimismo attorno all’impiego della colchicina. Potremmo trovarci di fronte al primo farmaco orale il cui uso avrebbe risultati significativi per il trattamento dell’infezione da coronavirus Sars-Cov-2.

Nella migliore delle ipotesi sarà possibile compiere un rapido progresso scientifico in maniera economica e riutilizzando un farmaco già esistente.