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Lo studio dei ricercatori italiani: “Usare le piante per produrre il vaccino Covid"

Covid

Un recente studio promosso da ricercatori italiani ha proposto di ricorrere all’uso delle piante per produrre il vaccino contro il Covid.

I ricercatori di Enea, del Cnr, dell’ISS e delle Università di Verona e di Viterbo hanno avanzato una nuova ipotesi che potrebbe influire sulla produzione del vaccino contro il coronavirus.

Lo studio dei ricercatori italiani presentato a dicembre

Alla metà di dicembre 2020, sulla rivista scientifica Frontiers in Plant Science è stato pubblicato uno studio intitolato Plant Molecular Farminf as a Stategy Against COVD-19 – The Italian Perspective, condotto da un gruppo di ricercatori italiani.

I presupposti rivoluzionari sui quali si basa la ricerca riguardano la possibilità di produrre farmaci avvalendosi delle piante.

Sulla base delle dichiarazioni rilasciate dai ricercatori coinvolti, l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da SARS-CoV-2 rende indispensabile affiancare ai sistemi di produzione farmacologica tradizionali nuove strade che possono coinvolgere le piante.

A questo proposito, la biotecnologa Enea Chiara Lico ha spiegato: “Potremmo ottenere le dosi di vaccino anti-Covid necessarie a soddisfare le esigenze del piano di vaccinazione nazionale in modo rapido, efficace e a osti contenuti”.

Piante: dalla produzione dei vaccini ad anticorpi e reagenti

La proposta esplicata dal team di ricerca italiano, inoltre, non si rivolge unicamente alla produzione del vaccino ma si pone come obiettivo anche quello di ricavare dalle piante gli anticorpi per l’immunoterapia passiva e i reagenti impiegati per i test diagnostici.

In relazione al tema degli anticorpi e dei reagenti, la biotecnica Lico ha affermato: “Per l’intera domanda italiana di vaccini, anticorpi e reagenti basterebbe una serra di 12.500 metri quadri oppure un impianto su più livelli di agricoltura verticale esteso su una superficie di soli 2.000 metri quadri”.

I vantaggi dell’uso delle piante nella produzione del vaccino

Nello specifico, la scienziata Lico ha sottolineato i quattro vantaggi fondamentali che si otterrebbero dall’uso di una piantw: “Il primo riguarda i costi di investimento che sono molto più bassi: al posto dei sofisticati biofermentatori (che servono per la coltura delle cellule di batterio, lievito, insetto, mammifero da cui si ricavano i vaccini) si utilizzano le serre. Il secondo consiste in tempi molto più brevi: un’azienda canadese ha dimostrato che, una volta nota una sequenza virale, si può produrre la prima dose di vaccino in sole due settimane. Il terzo riguarda nel fatto che le piante hanno un’elevata biosicurezza intrinseca, nel senso che, non potendo essere infettate da patogeni umani, non c’è rischio che la filiera del farmaco venga accidentalmente contaminata: l’intero processo avviene nelle stesse condizioni di controllo GMP e GLP in cui è prodotto il farmaco. Il quarto, infine, consiste nel consentire di rispondere più rapidamente alle improvvise impennate delle richieste del mercato, come succede in caso di pandemie”.

I metodi esistenti per sintetizzare un vaccino

Al momento attuale, a livello internazionale, esistono tre differenti modi di realizzare un vaccino.

In primo luogo, è possibile inoculare in modo diretto il virus inattivato o indebolito al paziente per stimolare l’organismo ad avviare una risposta immunitaria e scatenare la produzione di anticorpi senza manifestare la malattia. Questa strategia è stata adottata per i vaccini sviluppati contro rosolia, morbillo, varicella o parotite.

In secondo luogo, si può iniettare nel paziente una singola componente del virus, l’antigene, che solitamente si configura come una proteina. Nel caso del SARS-CoV-2, si tratta della proteina spike che ricopre la parte esterna del virus. In questo contesto, è compito dell’antigene esortare l’organismo a procedere nella risposta immunitaria e nella produzione di anticorpi. Questo metodo, che sfrutta un vaccino a sub-unità, è stato impiegato per i vaccini contro l’influenza stagionale, il papilloma umano e l’epatite B.

La terza e ultima strategia, infine, prevede di non somministrare la proteina antigene ma un campione di materiale genetico che, non appena rilasciato nell’organismo, provvederà a generare la proteina inducendo la risposta immunitaria. Tale metodologia è alla base dei vaccini anti-Covid di Pfizer, Moderna e AstraZeneca, tutti rispondenti alla tecnica dell’RNA messaggero.

Il metodo previsto dalla ricerca italiana e il successo internazionale

Il processo di produzione del vaccino ideato dai ricercatori italiani si ricollega alla seconda metodologia esistente per la sintetizzazione del farmaco. Sfruttando le piante, infatti, è possibile creare vaccini a sub-unità.

A questo proposito, la biotecnica Lico ha piegato: “Le piante vengono modificate geneticamente per far loro esprimere la proteina di nostro interesse, proteina che normalmente non produrrebbero. È importante sottolineare che la modifica viene indotta solo in maniera temporanea, non permanente. La nuova istruzione genetica viene fornita solo alle foglie poiché è dal tessuto fogliare che si estrarrà la proteina e, non riguardando l’apparato riproduttivo delle piante né i semi, è una modifica che non si può trasmettere alla progenie”.

L’ipotesi italiana relativa alla nuova produzione dei vaccini ha riscosso successo in varie nazioni come il Canada: “L’azienda Medicago Inc. è in fase avanzata dei clinical trials per un vaccino a sub-unità contro il Covid-19 e sta per ottenere il via livera alla commercializzazione per quello dell’influenza stagionale”.