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Scartato perché straniero: "diamo lavoro solo agli italiani"

scartato perché straniero

"Complimenti per il curriculum, ma noi diamo lavoro solo a italiani". 28enne scartato per le sue origini. Quando la discriminazione trova un alibi.

Un ragazzo italiano di origine moldava è stato scartato da un possibile impiego per via della sua seconda cittadinanza. “Mi dispiace ma non possiamo avere una collaborazione perché dal suo curriculum vedo che lei non è di provenienza italiana” è stata la risposta del firmatario dell’annuncio di lavoro, pubblicato sul portale di ricerca Subito.it. Una risposta che rivela tutto il razzismo e la discriminazione che si nasconde sotto la superficie di un vago sentore patriottico che invoca la tutela di un presunto popolo italiano. Tanto caro alla politica attuale. Il ragazzo, che è in Italia da 19 anni, parla perfettamente la lingua si è detto sconvolto. Il suo curriculum? Perfetto per l’impiego offerto, per stessa ammissione del reclutatore. Eccezion fatta, certo, per quelle voci che citano cognome e luogo di nascita.

Scartato per il suo cognome

Il ragazzo, 28 anni, residente a Treviso, laureando in ingegneria meccanica e una discreta esperienza come tecnico, aveva inviato applicazione per un’offerta rivolta ad aspiranti venditori di sistemi di allarme. “E’ solo il mio nome – spiega il giovane – che potrebbe far pensare alla gente che io provenga da un altro paese. Io mi sento italiano a tutti gli effetti: sono cresciuto qui, ho studiato e sto studiando qui, e per tre anni sono stato volontario con l’esercito italiano, ho servito la patria e ogni mattina cantavo l’inno di questo paese. A cui sento di appartenere”.

“Io mi sento italiano”

A pubblicare l’offerta di lavoro on line, un consulente per conto di un’azienda leader in Italia nel settore sicurezza. In totale negazione rispetto alle clausole imposte dal portale di ricerca, che in calce ad ogni annuncio precisa come questo sia “rivolto a entrambi i sessi, a persone di tutte le età e nazionalità”, il consulente ha invece chiarito la natura esclusiva della sua ricerca. Nella sua risposta al ragazzo ammette candidamente: “nel nostro settore abbiamo già provato con persone non di provenienza italiana e non abbiamo avuto alcun risultato: infatti questo tipo di lavoro viene accettato dalle famiglie solo se siamo italiani; perciò sarebbe una perdita di tempo sia per lei che per noi”. Un annuncio dunque rivolto solo a chi è nato in Italia, e da genitori italiani.

Un curriculum perfetto, ma…

“Sicuramente lei è una persona di buona volontà e se sta cercando un lavoro questo le fa onore” la frase che l’addetto deve aver pensato adatta a consolare il giovane, o che quantomeno deve essergli sembrata adatta a giustificare il tremendo atteggiamento discriminatorio che, con un certo senso d’impunità, si è sentito lecitamente autorizzato ad adottare. “In quasi vent’anni che sono qui non mi era mai capitata una cosa del genere – ha concluso amareggiato il ragazzo – sono rimasto davvero sconvolto di essere stato discriminato, considerato non italiano quando invece, per legge, lo sono e tale mi sento”.

L’italianità come alibi alla discriminazione

Eppure questa risposta deve mettere in allarme, non tanto sul presunto razzismo del suo autore, ma su quello che è il sentore comune di noi tutti, cittadinanza italiana. A proposito di un episodio simile, che risale al giugno 2018, in un sondaggio Twitter, la maggioranza degli utenti (il 58%) ha votato sì alla domanda “Ritieni legittima la scelta aziendale di non assumere persone dal cognome straniero?”. Lo sdoganamento della discriminazione è qualcosa con cui la mente di ognuno deve fare i conti, e forse anche acquisire coscienza, affinché questo tipo di manifestazioni possa essere per sempre bandito dalla nostra democrazia. Affinché il popolo italiano possa abbandonare vecchi sentimenti nazionalisti e muoversi a grandi passi verso il futuro. In cui l’imperativo deve essere uno solo: integrazione. Affinché sia bandita questa solidarietà che, come in altri casi saliti ad onor di cronaca negli ultimi mesi (si pensi solo a Daisy Osakue), urla più forte solo perché rivolta a connazionali “che parlano perfettamente italiano, senza inflessioni straniere” o che hanno prestato giuramento alla nazione italiana. Perché, veramente, in un mondo in cui sono gli stessi figli d’Italia ad emigrare in cerca di prospettive migliori, non conterà più origine, provenienza, paese di nascita. O almeno questo è ciò che ci si dovrebbe augurare.