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Il coronavirus potrebbe danneggiare anche il cuore: i casi italiani

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Secondo quanto emerge dalla ricerca americana il coronavirus potrebbe danneggiare il cuore anche nelle persone sane.

Il coronavirus potrebbe danneggiare il cuore anche nei soggetti sani. È quanto emerge da una ricerca effettuata da un gruppo di ricercatori americani in collaborazione con alcuni scienziati dell’Università del Texas. Secondo quanto rilevato sui pazienti di Wuhan, infatti, pare che “il 20% dei pazienti ricoverati per Covid-19 ha sofferto di danni cardiaci”. Questi ultimi, inoltre, avrebbero un rischio di morte 4 volte maggiore rispetto agli altri pazienti. In Italia, invece, è stato registrato il caso di una donna di 53 anni di Brescia morta agli Spedali Civili “dopo aver accusato un grave affaticamento nei due giorni precedenti”, come riporta il Corriere della Sera.

Il coronavirus potrebbe danneggiare cuore

Il team di ricerca americano guidato da scienziati della McGovern Medical School dell’University of Texas Health Science Center di Houston collaborando con i loro colleghi del Texas Heart Institute di Houston, del Brigham and Women’s Hospital, della Facoltà di Medicina dell’Università di Harvard e l’Università del Minnesota di Minneapolis. Coordinati da Mohammad Madjid, professore nel Dipartimento di Medicina dell’università texana gli scienziati sono arrivati alla conclusione che il Covid-19 può danneggiare il sistema cardiovascolare.

Il danno cardiaco sarebbe legato agli elevati livelli di troponina, un numero elevato di questo tipo di enzimi può portare all’infarto. “È comunemente osservato nei casi più gravi di Covid-19 ed è fortemente associato alla mortalità. La malattia è associata a un elevato carico infiammatorio che può indurre infiammazione vascolare, miocardite e aritmie cardiache”.

Il professore Madjid ha spiegato che a rischiare non sono solo le persone già malate: “È probabile che anche in assenza di malattie cardiovascolari, il muscolo cardiaco possa essere colpito dal coronavirus. Danni cardiaci possono verificarsi in qualunque paziente, con o senza pregresse malattie cardiovascolari, ma il rischio è più alto per coloro che soffrono già di cuore, ad esempio ipertesi o pazienti con problemi delle arterie coronarie che ossigenano il cuore”.