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Carne sintetica, nuovi studi svelano il potenziale impatto climatico

carne sintetica

La carne prodotta in laboratorio, prodotta utilizzando cellule staminali, potrebbe avere ripercussioni climatiche maggiori sul lungo periodo.

Nuovi studi britannici mettono in dubbio il positivo impatto ambientale che potrebbe portare l’innovazione messa in campo dalla carne sintetica, tuttora studiata in laboratorio e introdotta dall’olandese Mark Prost negli Stati Uniti. Il metano emesso dagli allevamenti, infatti, resterebbe nell’atmosfera per un tempo minore rispetto all’anidride carbonica.

Carne sintetica: un maggiore impatto climatico?

La carne prodotta in laboratorio, la cui produzione è prevista in un futuro prossimo per essere portata direttamente nei banchi del supermercato e nei ristoranti degli Stati Uniti, potrebbe avere un impatto climatico maggiore di quella da allevamento. Lo studio britannico, pubblicato su Frontiers in Sustainable Food Systems e riportato dalla rivista scientifica Focus, mette in evidenza le emissioni che i due diversi metodi di produzione di carne (bovina, la più inquinante) provocano.

Metano vs Anidride carbonica

I ricercatori della Oxford Martin School hanno adottato un metodo di confronto diverso dal precedente, che “premiava” la carne sintetica, prodotta facendo riprodurre cellule staminali su una piastra di Petri: nei casi della carne da allevamento, infatti, che causa grosse immissioni di metano nell’atmosfera, la quantità di metano veniva convertita in tonnellate di anidride carbonica. Questo dato in sé sottolinea come l’energia necessaria per mantenere un laboratorio sia minore, ma non tiene conto di un aspetto: il metano resta nell’atmosfera per 12 anni, mentre l’anidride carbonica si accumula per millenni, causando il ben noto effetto serra. La questione diviene quindi un’analisi degli effetti sul breve periodo rapportati a quelli sull’atmosfera nel medio-lungo periodo. Tuttavia, sottolinea Focus, i costi di produzione di carne in laboratorio con il metodo innovativo dell’olandese Mark Prost, sono ancora troppo alti e rendono impensabile trovarla nei nostri piatti senza attendere un’evoluzione più efficiente dell’energia impiegata per alimentare i laboratori.