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Se le sanzioni non riguardano i cannoni

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Finché c’è guerra c’è speranza per tutti (meno gli Ucraini). Le aziende militari europee e quelle americane, infatti, non disdegnano di fare affari sia con la Russia, sia con l’Ucraina.

Come finirà la guerra in Ucraina? L’algoritmo di Google è lo specchio della verità: la ricerca genera oltre 11mila risultati, 8.500 “notizie” e più di 3.000 video. E questo in italiano. In inglese, la domanda sulla guerra ha superato quella sulla pandemia: 2,2 miliardi di risultati e 160 milioni di “notizie”. Numeri che confermano non solo l’attenzione mondiale sul conflitto nell’ex Repubblica Sovietica, ma soprattutto la confusione che lo circonda. Che Putin sia pericoloso è fuori discussione: sparare cannonate sulla gente è un atto criminale.

Secondo gli analisti dell’Osservatorio Milex sulle spese militari, la guerra in Ucraina ha due campi di battaglia. Uno è quello che si vede in tv: Kiev sulle barricate, carri armati russi per le strade, edifici bombardati, profughi in fuga che cercano scampo in Europa. Il secondo campo di battaglia è quello degli affari: le telecamere non sono ammesse, si combatte per gli assegni e non per le sanzioni.

Perché ben prima che i carri russi arrivassero a Kiev, Stati Uniti, Francia, Germania e persino l’Italia, hanno guadagnato miliardi sul conflitto vendendo ogni genere di armamento non solo al governo indipendentista ucraino, ma anche ai suoi antagonisti e soprattutto a ministri e generali dell’ex Armata Rossa. Una par condicio di guerra, che sta bene persino al Cremlino. “Dietro alle scelte di Putin delle ultime settimane – sostengono gli analisti del Milex – ci sono i ritorni economici per il complesso militare-industriale controllato dallo Stato. Il principale produttore di armi russo è il conglomerato Almaz-Antey, che si colloca nella Top 20 delle maggiori compagnie degli armamenti”.

Secondo l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma, il vero “gioiello” di Vladimir Putin è il Rosoboronexport, un ente controllato da fedelissimi del leader russo, unico intermediario per import-export di materiali e servizi per la difesa: “Dal 2021 ha iniziato a spingere sull’export di armi in Europa, Africa e soprattutto in Asia”, spiegano gli esperti dell’istituto svedese.

Più prolunga la guerra in Ucraina, insomma, più Putin può mettere in mostra sulle tv mondiali, tutte le nuove “creazioni” dell’industria bellica russa, dai nuovi mezzi blindati d’assalto alle armi e tecnologie da combattimento di nuova generazione. Trattative per forniture di armi sono in corso con l’India, la Siria e decine di paesi asiatici e africani. E l’America?

Tra tutti gli “specialisti” nella vendita di armi, Washington ha i migliori nel campo. Basti pensare che mentre Biden presentava all’Europa la lista delle sanzioni commerciali, il governo americano ha dato “approvazione d’urgenza” a un contratto da 6 miliardi di dollari della General Dynamics Land Systems con il governo della Polonia: il paese della Ue e membro della Nato, ha deciso di comprare 240 carri armati americani Abrahams “per aumentare le difese nazionali” da un’eventuale invasione russa. Chiaro il concetto? Mentre combatte con l’inflazione, il caro-energia e la disoccupazione, la Polonia pensa sia più opportuno comprare 240 carri Abrahams per “difendersi da Putin”. Forse a Varsavia hanno dimenticato di far parte della Nato: la difesa dei confini è già garantita dagli alleati.

Comunque sia, finché c’è guerra c’è speranza per tutti (meno gli Ucraini). Le aziende militari europee e quelle americane, infatti, non disdegnano di fare affari sia con la Russia, sia con l’Ucraina. I dati ufficiali delle Relazioni annuali al Parlamento europeo riportano, infatti, che dal 1998 al 2020 sono state autorizzate esportazioni di materiali militari dai Paesi Ue all’Ucraina per quasi 509 milioni di euro e consegnate armi per 344 milioni di (la crescita è stata esplosiva negli ultimi anni). Alla Federazione Russa, invece, sono stati autorizzati contratti sulle armi per ben 1,9 miliardi di euro e consegnato armamento per 744 milioni di euro.

Anche l’Italia ha la sua parte, anche se le esportazioni di materiali militari italiani verso l’Ucraina sono state finora “limitate”: circa 6,5 milioni di euro a fine 2019. Molto più consistenti, invece, sono le vendite in Ucraina di “armi comuni” e soprattutto pistole automatiche per corpi speciali, mitragliette, fucili d’assalto tra cui fucili semiautomatici che possono essere destinati anche a corpi di polizia e ad enti governativi. Dal 2015 ne sono stati venduti a migliaia, passando da 84.278 euro nel 2015 fino a tre milioni e mezzo di euro nel 2020 e oltre 4 milioni di euro nel 2021.

Il quadro è cambiato radicalmente negli ultimi due mesi con la guerra in Ucraina e l’assedio di Kiev.

Due giorni fa, infatti, è stato firmato il decreto attuativo del ministro della Difesa per l’invio (vendita) di materiale bellico all’Ucraina. Ma il contenuto del provvedimento, che contiene la lista degli armamenti che verranno “mandati in aiuto alle forze ucraine”, è stato secretato. Con buona pace della trasparenza sui costi della guerra, le uniche sanzioni rese pubbliche non riguardano il mercato delle armi.

Per l’analista di Milex Francesco Vignarca, l’opacita’ del governo è sospettosa: “L’elenco non viene fornito perché non si vuole far capire a chi vengono dati i soldi? Il materiale bellico viene comprato da qualcuno, tramite fondi italiani o tramite l’European Peace Facility, non viene dato gratis dai produttori di armi per sostenere gli sforzi dell’Ucraina, si parla di 150 milioni“, conclude Vignarca.

Ma ancor più consistenti sono le esportazioni militari verso la Russia. Dopo il record di autorizzazioni nel 2011 con il governo Berlusconi (106 milioni di euro), spicca il boom di contratti alla Russia nel 2015 con il governo Renzi, con Gentiloni agli Esteri, (25,7 milioni) nonostante fosse in vigore l’embargo di armamenti deciso a livello europeo il 31 luglio 2014 per il coinvolgimento russo nel conflitto in Ucraina: si tratta di 94 veicoli blindati Iveco modello M65E19WM 4×4, meglio conosciuti in Russia come Lynx, di cui 83 sono stati consegnati nello stesso anno.

Negli ultimi anni non sono state concesse licenze di esportazione di armamenti dall’Italia alla Russia. Ma i dati dell’Istat segnalano per il 2021 una ripresa: tra i 21.942.271 euro di “armi e munizioni” già consegnate tra gennaio e novembre del 2021, oltre a “armi comuni” come fucili (13.742.231 euro), pistole (151.074 euro), munizioni (4.093.689 euro) e accessori (837.170 euro). In particolare, figurano 3,2 milioni di euro di armi e munizioni destinate a corpi di polizia o enti governativi russi.

Gli appalti per le armi non sono ovviamente sottoposti a sanzioni. Le scarpe, i prosciutti, il vino, le macchine e i robot, invece, pagano il conto.