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Quello che le donne dicono, discorso sul sesso e sul curling nella nostra canzone

foto editoriale monina

Non ho idea di cosa le donne si dicano tra loro. Neanche vaga. Non ho idea di quel che si dicono e men che meno ho idea di che linguaggio utilizzino.

Quello che le donne dicono. Questo pezzo non può che intitolarsi così. Citazione alta e pop al tempo stesso. Frase che potrebbe diventare, destino già toccato al titolo della canzone che Ruggeri ha donato alla Mannoia da cui evidentemente prende vita, uno slogan per qualche prodotto dedicato al femminile.

Il fatto è che io non ho idea di quello che le donne si dicono. E non ne ha neanche Ruggeri stesso, interpellato a riguardo.

Fiorella Non ne ho almeno una conoscenza diretta, in quanto uomo. Come molti miei simili ci ho fantasticato da piccolo, quando ho cominciato a farmi una vaghissima idea di quello che l’universo femminile poteva rappresentare, spesso attraverso le finte lettere allo psicologo di Cioè, riguardo quel che capitava negli spogliatoi femminili, ma non erano pensieri che ruotavano molto intorno a quel che le donne, le ragazze nello specifico, dicevano a solleticare la mia fantasia. Da giovane adulto, poi, ho scoperto che esisteva tutto un mondo non troppo diverso da quello maschile, quello degli spogliatoi, appunto, fatto di battute, allusioni, racconti, riferimenti, e questo grazie a serie tv come Sex and the City e affini.

Ma resta il fatto che non ho idea di cosa le donne si dicano tra loro. Neanche vaga. Non ho idea di quel che si dicono e men che meno ho idea di che linguaggio utilizzino, che stile narrativo, che riferimenti. Niente di niente.

Non ne ho idea in generale, ma neanche nel settore specifico di cui mi occupo, la musica.

E non ne ho idea perché spesso, non so se anche volentieri, almeno in musica, a cantare l’intimo delle donne sono stati gli uomini. O meglio, sono state le donne, ma usando parole degli uomini. Il loro lessico, le loro immagini, le loro liriche. Ruggeri, appunto, ma anche Fossati e via via tanti altri.

E se non ho idea di quello che le donne dicono, messaggio immagino ormai arrivato a destinazione, ho invece piuttosto chiaro cosa le donne non dicono, e posso anche immaginarmi il perché.

Le donne, almeno le donne nelle canzoni, e le donne che quelle canzoni cantano, nella quasi totalità dei casi non parlano di sesso. Almeno in Italia. Non ne parlano direttamente, e quasi mai alludono al sesso, come se questo argomento non fosse tanto un tabù, a questo servirebbero le allusioni, a dire cose indicibili, quanto, piuttosto, un argomento talmente privo di interesse da non finire nei monitor, al pari, che so?, del curling.

Non mi vengono in mente, in effetti, canzoni femminili che parlino di curling, la disciplina olimpionica che in queste Olimpiadi invernali vede per la prima volta coinvolta anche la nazionale italiana.

Non me ne vengono in mente neanche di canzoni maschili, ma non è di questo che stiamo parlando.

Niente curling, niente sesso.

Il fatto è che, vado a braccio, dubito ci siano molte donne che pratichino il curling. Dubito ce ne siano anche che lo seguano, dal vivo o in tv. Mentre di donne che praticano il sesso, perdonatemi il verbo così asettico scelto per l’occasione, vado sempre a braccio, suppongo ce ne siano parecchie. E suppongo anche che il sesso, per le donne, abbia un po’ lo stesso peso che ha per gli uomini, seppur in maniera un filo meno invasiva e ossessiva.

Allora, mi chiedo, perché le canzoni delle nostre cantanti e delle nostre cantautrici sono così prive di racconti, di suggestioni, di immagini legati alla sfera sessuale?

Ora, mi si dirà, non è che i maschietti siano soliti a scrivere chissà quante canzoni a riguardo.

Vero.

Ma gli esempi ci sono, e seppur non sempre edificanti, basterebbe prestare ascolto a un qualsiasi album di un rapper o di un trapper per trovare spiegato fin nei minimi dettagli cosa un giovane adulto farebbe o millanta di aver fatto nella propria camera da letto.

Ma non solo di rap e trap si parla, è chiaro.

Il rock, si sa, è nato proprio da lì. Di questo si parlava quando si rotolava e cullava, vedi alla voce “rock and roll”, di questo si parlava, anche in maniera più fisica, nel blues, cioè da dove il rock è nato. Il funk, beh, già da quel ritmo sincopato, da tutte quelle esclamazioni, direi che è chiaro tutto. E si potrebbe andare avanti all’infinito. Anche nella nostra canzone d’autore o nelle nostre canzoni leggere.

Da Cocciante che raccontava di un “viaggio nel tuo corpo” a Venditti che proclamava “scopare bene, scopare bene questa è la prima cosa”, via via fino a “l’odore del sesso” di Ligabue e tutti i tanti riferimenti di Vasco, uno che, al pari di Ruggeri e Fossati, poi, ha anche regalato all’universo femminile tante suggestioni, da Albachiara a Sally. Lo stesso Calcutta, nuovo fenomeno indie, con Orgasmo, suo penultimo singolo, ha alzato il livello di guardia, finendo incautamente nel mirino dell’autocensura di alcuni network, incapaci di accettare un linguaggio troppo diretto come “E se mi metto davvero a nudo/ Dici che ho sempre voglia di scopare”, non comprendendo, per altro, il simpatico mondo delle metafore.

Ecco, questo potrebbe essere un primo indizio.

I grandi network, alle soglie del terzo decennio del terzo millennio non hanno ancora gli anticorpi per accettare che si parli di sesso per bocca di un uomo, a meno che non sia un uomo maturo, vedi Vasco o Ligabue, appunto, figuriamoci se a farlo fosse una donna.

Ma buona parte della musica, oggi, punta su altri media, su altri canali. È noto che le radio, i network radiofonici, servano più a riempire stadi e palasport che quei locali dove, per dire, la scena indie o quella rap e trap imperversa. È la rete il mondo in cui le canzoni di questi giovani artisti si muovono, contando sulla condivisione, sulla viralizzazione. Chi se ne frega delle radio. Perché non parlare di sesso in canzoni che tanto non potrebbero ambire a finire in prima serata su Rai1 o su Rtl 102,5?

La rete.

Ecco l’altro problema, forse.

La reputazione, in rete, è fondamentale. Ovvio che per reputazione non si intende quello che genericamente viene incluso in questo termine. Non si parla di avere un buon nome, ma di essere credibile, attendibile, riconosciuto come tale dalla comunità nella quale ci si muove. Una donna che si trovasse a cantare di sesso, magari mostrandosi anche accattivante nel look, discorso altro che però a questo è correlato, si troverebbe giocoforza a dover fronteggiare eserciti di haters, tanto pronti a passare le giornate su Youporn o Pornhub quanto a offendere senza ritegno chiunque abbia l’ardire di mostrarsi disinibita.

E già solo il fatto che si debba ricorrere a una parola come disinibita per raccontare di una donna che parla di sessualità ci dice come in effetti l’argomento sia davvero tabù, difficile da accettare, quasi impossibile da decifrare per un pubblico distratto ma bacchettone.

Di nuovo, disinibito, bacchettone.

Il sesso, la sessualità, la sfera sessuale, fanno parte delle nostre vite, al pari della sfera dei sentimenti, degli affetti, al pari del lavoro, della cultura, dell’ambientalismo.

Aver caricato il sesso di un significato altro, innaturale, ha in qualche modo da una parte potenziato chi su questo argomento prova a fare mercato, si veda la pornografia, o chi prova a farci leva per giocare sui sensi di colpa, pensiamo alle religioni, dall’altro ha depotenziata ogni possibilità di inserire questa sfera in un immaginario artistico. Se una volta il nudo, per dire, era parte fondante dell’arte classica, oggi il nudo appartiene al voyeurismo o alla pornografia, almeno in soldoni.

Se in Italia, per dire, una cantante avesse l’ardire di usare versi in cui, che so?, parla di un pompino, come in America hanno fatto artiste come Beyoncé o Alanis Morrissette, portando quei brani in cima alle classifiche di mezzo mondo, per altro, scoppierebbe un caso che, c’è da scommetterci, finirebbe in Parlamento.

Romina Falconi So di ripetermi, avendo affrontato l’argomento, più da un punto di vista estetico e di immaginario, in un libro che mostrava, appunto, una giovane cantante italiana in topless in copertina, Romina Falconi, immagine che richiamava chiaramente alla mente la Venere di Milo, il libro si intitolava Venere senza pelliccia, e che i social hanno prontamente rimosso. So di ripetermi, dicevo, ma vi immaginate una donna che osi cantare qualcosa di simile al “ti raserò l’aiuola/ quando ritorni da scuola” di grignaniana memoria? Ma senza andare così oltre il buongusto, vi immaginate semplicemente una donna che faccia riferimento al culo o al pacco di un uomo, come il Vasco che sottolineava quanto stessero bene i jeans alla protagonista di Gioca con me?

Un tempo avevamo Patty Pravo che raccontava senza indugi di rapporti a tre, Loredana Bertè che faceva vanto di non essere una signora, la Rettore che parlava di cobra o Anna Oxa che cantava di “le tue mani su di me, stanno già forzando la mia serruta”. Oggi il grande nulla

O quasi.

Esistono delle eccezioni, chiaro.

Ma come tutte le eccezioni, appunto, a conferma della regola.

Baby kArtiste mainstream come Baby K, per dire, stanno provando a ridisegnare un linguaggio non solo verbale, ma anche estetico. Non a caso la rapper e cantante romana si muove sulla stessa falsariga di una Beyoncé, ricordiamolo, artista che con il suo Lemonade ha posto il suo essere donna, moglie tradita, madre al centro dello storytelling, senza filtri e senza pudori. Anche in ambito indipendente, da non confondere con il sottogenere indie, ci sono artiste che stanno provando a dirci cose apparentemente indicibili. Penso a una Roberta Carrieri con le sue La mia figa o Milf, a Irene Ghiotto, che sta lavorando sulla propria immagine, sul proprio corpo esposto o da esporre, al pari di quanto non stia facendo sui suoni e le parole delle sue canzoni, rivendicando il diritto di essere donna al pari delle femministe di cinquant’anni fa, o a una Ilaria Porceddu, che partendo da una musica e un lirismo che affondano le radici nella nostra tradizione cantautorale più antica, prova a parlare di corpi come in effetti si dovrebbe sempre poter fare, con naturale confidenza.

Siamo al paradosso che la canzone che meglio ha raccontato la sessualità femminile nel nostro panorama musicale italiano rischia di essere Essere donna oggi degli Elio e le Storie Tese con quel “Al grido di ‘cazzo subito'” ormai entrato nella storia.

Se il porno si sta interrogando sullo sguardo e il linguaggio femminile, ormai da anni, certo rimanendo a margine del mainstream, ma con la stessa tenace attenzione che si applica ai principi fondamentali, resta da interrogarsi perché le nostre artiste, siano essere interpreti o cantautrici, preferiscono tenere una porzione della propria esistenza dentro il cassetto. Perché, cioè, non abbiano pudori a mettere in mostra la propria anima, i propri sentimenti, ma lasciano nell’ombra il proprio corpo, la propria sessualità. In fondo, per dirla con i nostri genitori, le intimità non sono solo quelle che albergano nell’anima, e non è certo nascondendole che ne neghiamo l’esistenza.