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Perché Suarez ha più diritto alla cittadinanza italiana di un bambino nato in Italia?

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Non per togliere qualcosa a Suarez, ma per darlo a tutti: profughi e lavoratori in coda per ore ogni giorno agli sportelli delle questure.

Ve l’immaginate la notizia di un campione milionario del Barcellona come Luis Suarez – miglior marcatore di sempre della nazionale uruguayana con cui ha partecipato a tre Mondiali, capocannoniere in tre diverse massime divisioni, due volte Scarpa d’Oro, che lascia Messi per giocare con Ronaldo, capace di far decollare un giro d’affari incalcolabile tra abbonamenti, sponsor, merchandising e relativo indotto – costretto a rinunciare all’ingaggio della Juventus per non aver superato l’esame di italiano? Bocciato da un prof a cui s’è presentato scortato da polizia, urla di supporter e flash di fotografi. La realtà supererebbe la fantasia di un titolo di Lercio. La steccatura farebbe il giro del mondo in 80 secondi sollevando, dopo le risate, proteste trasversali: tifosi, attivisti dei diritti umani e politici pronti a cavalcare il nuovo sdegno animerebbero strade e piazze con cortei e sit-in. Tutti contro i poteri occulti della Figc e dell’Università per stranieri di Perugia, che soffiano sul vento della crisi post Covid: l’ateneo non sarebbe risparmiato dalla furia di ispezioni ministeriali e gogne social.

Quello di Suarez, che invece ha passato in quattro e quattr’otto il test per ottenere quella cittadinanza italiana tanto sudata dai fratelli extracomunitari, è uno di quei casi che, come lo rivolti, si trova sempre da polemizzare, specie se il retrogusto è quello nazionalpopolare del pallone. La campagna acquisti è ancora in corso e il passaporto comunitario non è stato richiesto ufficialmente per motivi di lavoro, bensì di matrimonio: Suarez è sposato infatti da più di 10 anni con Sofia Balbi, figlia di un friulano emigrato in Uruguay. Ma a motivi di lavoro fa ufficiosamente capo, consentendo ai club europei di aggirare il vincolo dei 3 calciatori extra Ue tesserabili. Da quanto riportano gli inviati in loco, il calciatore c’ha messo più a fare il ceck-in ai tornelli dell’aeroporto (su cui è atterrato a bordo di un jet privato) che a completare le quattro parti della sessione previste tra ascolto, lettura, scrittura e produzione orale.

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L’episodio s’inserisce perfettamente nel filone delle corsie preferenziali per le pratiche burocratiche, dell’occhio di riguardo in gare e concorsi, delle multe stracciate, dei tamponi e dei ricoveri garantiti a vip e potenti. Piccoli e grandi favoritismi d’ogni giorno. C’è ancora chi si scandalizza? Abbiamo deciso che è con Suarez che s’è colmata la misura? Lo sport rappresenta il 7% del pil italiano e i 70% dei contributi arriva dal calcio. Senza contare gli interessi di altra natura, economici e industriali, che la famiglia bianconera coltiva nel nostro paese. Occorrevano altre cronache della divisione del mondo in ricchi e poveri? Quella di Suarez è solo una noia formale da sbrigare, per certi versi è già tanto che si sia presentato di persona e non abbia chiesto di svolgere la prova online: con la scusa del Covid, forse gliel’avrebbero concesso. Non è un cinico invito alla rassegnazione, ma al buon senso e a una dose di realpolitik.

Suarez è sicuramente stato facilitato. A suonare come clamorosa non è però la rapidità con cui ha messo a segno un’azione complessa, ma l’esagerata lentezza e fatica a cui sono costretti gli altri stranieri, anche quelli nati in Italia. Il record non è tanto nel tempo frantumato dai legali del giocatore, sicuramente da primato, quanto in quello infinito riservato ai comuni mortali, che nella migliore delle ipotesi attendono 4-5 anni. È questa la vergogna che dovrebbe farci arrabbiare e battere. Non per togliere qualcosa a Suarez, ma per darlo a tutti: profughi e lavoratori – non solo operai, badanti e colf ma anche commercianti e professionisti – in coda per ore ogni giorno agli sportelli delle questure. Lo scopo non può essere incattivire le domande degli esaminatori ai personaggi ricchi e famosi, rendendogli il rilascio del documento un’odissea, ma evitare che la richiesta di riconoscimento di un diritto civile si trasformi in una corsa a ostacoli ingenerosa, per chi si è dovuto sacrificare non poco per raccogliere la documentazione richiesta. Anche perché, dopo tutto, Suarez la cittadinanza non l’ha ancora avuta. Ha solo ricevuto un attestato di conoscenza linguistica B1, il livello minimo richiesto, che significa un passo, decisivo, verso l’ottenimento.

Già il fatto che si dia per scontato il felice esito della domanda e si anticipi lo “scandalo” prima che avvenga rende conto del sapore ipocrita e pruriginoso che accompagna una querelle quando è sterile. I funzionari del Viminale hanno tempo fino al 5 ottobre, quando chiuderà il calciomercato estivo, per regolarizzare la nazionalità di Suarez. Quanto a noi, speriamo di avere presto l’occasione di valutare personalmente il suo livello di italiano, nelle interviste tv che rilascerà dopo le partite. E il livello della stessa commissione esaminatrice.