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The Danish Girl. L’amore assoluto come unione di anime

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Fin dove ci si può spingere per amore? Che cosa è legittimo e cosa no e, soprattutto, cos'è la normalità? E’ un film che lascia il segno l’ultima fatica di Tom Hooper, regista del pluripremiato “Discorso del Re”, in corsa per 4 premi Oscar, e che tocca in profondità chiunque abbia un...

Fin dove ci si può spingere per amore? Che cosa è legittimo e cosa no e, soprattutto, cos’è la normalità?

E’ un film che lascia il segno l’ultima fatica di Tom Hooper, regista del pluripremiato “Discorso del Re”, in corsa per 4 premi Oscar, e che tocca in profondità chiunque abbia un minimo di sangue nelle vene. Era una pellicola molto attesa “The Danish Girl”, per mille ragioni, prima fra tutte la tematica trattata.

Protagonista del film è quella Lili Elbe che nei primi anni venti scioccò Parigi con il primo intervento di rassegnazione sessuale della storia (anche se, forse, ci furono dei precedenti). Una storia che nasce in modo imprevedibile, quasi per gioco. Marito e moglie innamoratissimi, entrambi arsi dal sacro fuoco dell’arte pittorica, paesaggista accreditato lui, ritrattista poco considerata lei, si ritrovano a scambiarsi i ruoli per assecondare una necessità assolutamente contingente, qual’è quella di dover rimpiazzare la modella che lei aveva ingaggiato e che porta lui, sia pure con ritrosia iniziale, a posare al suo posto. Quello che sembra soltanto un gioco inizia a scoperchiare piano piano un enorme “vaso di pandora”, perché Einar Wegener, indossando quegli abiti così leggeri e sinuosi, scopre di sentirsi donna nell’animo. Niente di nuovo in realtà, niente che non avesse già sperimentato in passato, rimuovendo poi sensazioni ed esperienze in nome del perbenismo.
Tuttavia, ciò che rappresenta l’elemento di assoluta novità in questo strano mènage di coppia è il fatto che la signora, almeno inizialmente, sembra avallare senza alcuna difficoltà la messa in scena, che a tratti, si fa anche gioco erotico oltre a diventare il vero e proprio trampolino di lancio per la sua carriera che fino ad allora stentava a decollare. Gerda Wegener, infatti, grazie ai ritratti di Lili ottiene la notorietà che aveva sempre desiderato, iniziando a collaborare con riviste di moda ambitissime come Vogue e La Vie Parisienne.

Quella che sembrava però una semplice messa in scena, lentamente, diventa realtà, perché è Einar è sempre più Lili dentro di sè, fino a voler desiderare di assumere a tutti gli effetti la sua nuova identità femminile, sottoponendosi, nel 1931, a una serie di interventi per cambiare sesso, l’ultimo dei quali, assolutamente sperimentale e rischiosissimo, lo porterà addirittura alla morte. Ma veniamo al film. Poco importa capire, se Gerda Wegener sia diventata bisessuale (aspetto che il film volutamente ignora) conseguentemente alle scelte di lui, affermandosi non a caso come fumettista erotica di storie lesbiche, o se sia stata proprio la sua natura sessuale confusa e ambigua a spingere il marito a potenziare quei tratti effeminati della sua personalità, fatto sta che i due continuarono ad amarsi sempre e nonostante tutto. In un modo tutto loro, assolutamente inusuale e fuori dagli schemi.

E allora, gettata via la maschera, e cancellate tutte le pruriginose o voyeuristiche curiosità di chi credeva di trovarsi di fronte ad un film scandalo (non vi è la benché minima traccia di perversione in tutta la pellicola), il messaggio del film è proprio questo. Aldilà della scenografia magnifica e dei costumi meravigliosi (non a caso entrambi candidati all’oscar), della musica romanticissima e della fotografia superba (le scene girate sembrano degli acquerelli), il messaggio è semplicissimo. Assolvere incondizionatamente ogni forma di pulsione che derivi dall’anima, concetto condensato in maniera eloquente dagli sguardi intensi e la recitazione potentissima dei due strepitosi protagonisti (entrambi da premio).

Poco impegnato o leggero? Ma l’amore è proprio così, una cosa semplice da spiegare in due parole. Il resto, i vestiti, il colore della pelle, perfino l’identità sessuale sono solo degli stupidi dettagli, perchè la sostanza è più importante della forma e l’intelligenza deve andare oltre il pregiudizio.

Jole de Castro