> > Una pessima madre? Perchè no?

Una pessima madre? Perchè no?

Una pessima madre? Perchè no?

La guerra per il perfezionismo non è un posto da mamme. Essere perfetti non va bene. Ma ricordate che tutti sono in guerra contro qualcosa tutti i giorni. La guerra per il perfezionismo non è un posto da mamme. Al giorno d'oggi non va bene essere troppo bravi. Bad Moms (Mamme molto cattive) un ...

La guerra per il perfezionismo non è un posto da mamme. Essere perfetti non va bene. Ma ricordate che tutti sono in guerra contro qualcosa tutti i giorni.

La guerra per il perfezionismo non è un posto da mamme. Al giorno d’oggi non va bene essere troppo bravi. Bad Moms (Mamme molto cattive) un film sulle speranze impossibili del ruolo di genitore fatto dagli stessi che hanno inventato The hangover (Una notte da leoni), è stato uno dei film più visti durante l’estate. Non è difficile caprine il motivo, le madri vogliono vedere le loro vite sugli schermi rappresentate come gruppo demografico dato che di norma non sono granché prese in considerazione. Un recente rapporto rivela che l’anno scorso solo il 35% dei personaggi nei film hollywoodiani e negli spettacoli televisivi avevano più di 40 anni, e l’80% di loro erano uomini. (L’anno in cui compì 41 anni Maryl Streep disse che le avevano offerto tre ruoli, in tutti e tre doveva interpretare una strega.) Ma i presupposti di Bad Moms, tre madri ubriacone, disordinate che festeggiano la loro inadeguatezza e si coalizzano contro la mamma prepotente che gestisce la PTA (l’associazione genitori insegnanti), mentre hanno la sensazione che qualcosa di potente e nuovo dipende, naturalmente, da madri che vengono messe a confronto, dipende da quella cultura della rivalità che si perpetua, dipende dalle vestigia delle nostre stesse insicurezze. Che è una cosa divertente, fino a che non si esce dal cinema.

Da qualche parte un nuovo brand che si chiama Selfish Mother (Mamma egoista) vende le sue T-shirt “Winging It” (sto improvvisando) da John Lewis, e quello che una volta sembrava essere una scioccante dichiarazione di ribellione adesso è…normale. Una cattiva mamma non è mai stata così trendy. La puntata pilota di Motherland, la nuova esilarante sitcom della BBC scritta da Sharon Horgan e Graham Linehan, è ambientata nell’atmosfera nebbiosa di una vacanza di metà trimestre quando una donna deve contare sulla inaffidabile cortesia di strane mamme perché ha bisogno di aiuto con i suoi bambini. Le altre donne sono passive-aggressive e perfette, l’esatto opposto della nostra fragile eroina. In una cucina immacolata le differenze tra mamme brave e mamme incapaci sono rappresentate da sport quali ad esempio: preparazione del ragù alla bolognese per 10 persone, e taglio in contemporanea di dito e formaggio congelato. I figli sono solo un rumore di sottofondo – sono le mamme quelle al centro dell’attenzione e nessuna di loro è del tipo giusto. Anche se le loro acconciature sono straordinarie.

Ed è questo il nocciolo della questione, no? Quando arriviamo all’età adulta e ai sacchetti per la spesa e ai gatti, abbiamo imparato che anche se una persona sembra straordinaria ed efficiente, è comunque umana, ed ha a che fare con i tormenti che ci rendono degli esseri umani. Sullo schermo queste battaglie domestiche sono combattute a suon di urli e lanci di torte, nella vita reale lo scontro avviene nella nostra testa.

Essere “cattivi”, così come essere “buoni” è quantificabile solo quando messo a confronto con gli sforzi altrui, ed è una tentazione l’idea di competere con pasticceri professionisti che sfornano cup cakes e con gli adepti dei ritiri yoga perché il confronto ci fa sentire dei perdenti, specialmente quando tutti gli obiettivi scolastici sono svaniti nel nulla e tutto quello che riuscite a mostrare di voi stesse è un bambino di quattro anni semi nudo e coperto di ketchup. Tuttavia ci sono, sicuramente, delle donne per le quali le responsabilità sono un’inezia, ma ce ne son di sicuro molte di più che mentre sembrano avere successo, stanno cercando con tutte le loro forze di trovare una sorta di ordine nelle loro vite spazzate dal vento della quotidianità.

Essere cattivi significa avere profondità. Così, essere buoni è considerato segno di superficialità. Una cosa è dire “abbraccia il tuo lato cattivo” un’altra è affermare che se sembra che niente ti urti allora stai mentendo. Il moderno concetto di essere-donna talvolta sembra costruito su un senso di onestà competitiva e sull’ostinarsi che siamo deboli; l’auto-biasimo viene esercitato come se fosse uno sport olimpico, per vincere delle medaglie. Durante le nostre lunghe vite, dalle chiacchierate ai giardinetti, ai tè dei gruppi di genitori, alle riunioni dei comitati genitori insegnanti, ci siamo esercitati a fiutare la differenza, e attaccarla anche se in maniera subdola. Siamo fatte così, e così sono fatte le altre. Oggi, voi ed io, siamo un po’ trascurate, casiniste, ansiose, con un colorito smorto, delle schifezze insomma. Ci vedete mentre parliamo di letteratura moderna, che ci lamentiamo dei dolori al collo, ci ubriachiamo, raccontiamo monologhi sconci sulle nostre parti intime. Non siamo loro, le altre donne, donne che sono tutto yoga e felicità ed essenza, quelle che fanno le cose nel modo giusto.

Come reazione al culto del perfezionismo che è arrivato prima, si sviluppa un enorme senso di liberazione quando ci si rende conto che tutti combattono, tutti i giorni. Ma quando classifichiamo e dividiamo i nostri pari in buoni e cattivi, anche se ci mettiamo al posto dei perdenti, con le felpe macchiate e le repliche a tarda notte, ci stiamo facendo un disservizio. Va bene essere cattivi, ma non è male neppure esser buoni.