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Urbania: i segreti delle mummie della Chiesa dei Morti

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Una piccola chiesa di Urbania nasconde alcuni corpi perfettamente conservati. Una storia misteriosa, che ha alimentato leggende per anni

Urbania è un piccolo comune di appena 7000 persone situato tra le colline della provincia di Pesaro e Urbino. L’insediamento nasce intorno al VI secolo, ma prende il nome attuale nel lontano 1636.

Il nome cambiato in onore di Urbano VIII

Fù infatti per rendere onore a Papa Urbano VIII – meritevole di aver elevato lo status del paese a città e diocesi – che si decise che da quel momento la città avrebbe abbandonato il nome di Casteldurante, e da li in avanti sarebbe stato conosciuto con il nome di Urbania.

I gioielli nascosti di Urbania

Urbania ospita numerosi edifici medioevali, tra i quali numerosi complessi religiosi di antichissima fondazione. La Chiesa e il Convento di San Francesco, iniziata a costruire nel 1284 è l’edificio di culto più antico del paese. L’edificio però, nonostante i suoi affreschi e il suo stile barocchetto, non è certo l’unico degno di nota, o in grado di attirare l’attenzione. Una piccola cappella, in particolare, ha nascosto per anni un segreto. Segreto che affonda le sue radici nella storia, e che ha pazientemente aspettato di essere svelato.

La chiesa dei morti

La storia di questo segreto ha inizio nel lontano 1567, l’anno in cui la Confraternita della Buona Morte giunse in Città, e si insediò presso quella che oggi conosciamo come Cappella Cola.

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I Fratelli della Buona Morte

Il compito che si dava la confraternita era nobile: garantire a tutti la possibilità di un degno passaggio a miglior vita. I confratelli dedicavano quindi le loro cure ai meno abbienti così come ad assassini in attesa di ricevere giustizia. Garantivano sostegno psicologico ai malati e ai condannati a morte, e donavano loro un degno funerale. Si occupavano perfino della sepoltura, raccogliendo – come era uso fare ai tempi – per anni le salme nei sotterranei della loro sede. E così fecero per secoli.

La scoperta dovuta a Napoleone

Ma ad un certo punto giunse Napoleone. Con il suo Editto di Saint Cloud del 1804 vietava – per ragioni sanitarie – la sepoltura dei defunti entro le mura cittadine. Fu così che iniziarono i lavori di svuotamento di tutte le cripte della città. Immaginate la sorpresa degli uomini impegnati nei lavori quando dalla cripta della Cappella Cola cominciarono ad essere estratti corpi vecchi di secoli mantenuti in un perfetto stato di conservazione. Nel 1833 si decise così di esporre dietro all’altare della chiesa diciotto tra le mummie recuperate, con ancora pelle, capelli, unghie e organi.

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Ognuna di loro in grado di poter raccontare la fine della propria storia: la donna morta durante una operazione di parto cesareo, il giovane accoltellato durante una veglia danzante, di cui si può osservare il cuore trafitto, quello di un giovane investito da un carro, o quello dello sventurato che si racconta essere stato sepolto vivo in stato di morte apparente.

Un ritrovamento che ha colpito l’immaginario popolare, e che ha dato origine a diversi miti.

I miti e le legende

Alcuni hanno visto nella preservazione del corpo dei ritrovati una sorta di dono celeste ricevuto dagli appartenenti all’ordine come ricompensa per le buone azioni terrene. Altri hanno creduto invece che avesse a che fare con la presenza a Urbania di un leggendario alchimista e membro dell’ordine, Vincenzo Piccini.

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L’alchimista era convinto che la mummificazione fosse l’esito di un antico esperimento finalizzato alla ricerca della vita eterna, e aveva speso buona parte della sua vita nel tentativo di comprendere il fenomeno, e di riprodurlo.

Mise così a punto una “pozione” che applicata sui corpi dei defunti avrebbe dovuto garantirne la durata eterna, e diede istruzioni affinché al suo trapasso venisse utilizzata sulla sua salma e su quella di sua moglie e di suo figlio. Volontà rispettata, tanto che ad oggi, pur presentandosi in condizioni peggiori delle altre, le sue spoglie e quelle dei famigliari sono tra quelle esposte.

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Oggi la scienza risponde

Oggi, grazie ad una inchiesta del National Geographic, sappiamo che a conservare i corpi dei sepolti nella cappella non sono stati ne un intervento divino, ne la pozione di Piccini. Il fenomeno è infatti dovuto da una particolare muffa e dalla composizione del terreno. Il terreno avrebbe permesso una costante ventilazione dell’ambiente, mentre la muffa, agendo come una specie di antibiotico, ne avrebbe impedito la decomposizione.