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Avati: "Il signor Diavolo" oggi è nel potere, sinonimo di Male

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Roma (askanews) - Pupi Avati torna al cinema horror con cui esordì 50 anni fa e con "Il signor Diavolo", nei cinema dal 22 agosto, permette allo spettatore di oggi di immergersi nelle atmosfere di quello che lui definisce "il gotico padano". Siamo nel 1952, in Emilia, dove è diffuso un cattolice...

Roma (askanews) – Pupi Avati torna al cinema horror con cui esordì 50 anni fa e con “Il signor Diavolo”, nei cinema dal 22 agosto, permette allo spettatore di oggi di immergersi nelle atmosfere di quello che lui definisce “il gotico padano”. Siamo nel 1952, in Emilia, dove è diffuso un cattolicesimo superstizioso e contemporaneamente c’è il “pericolo rosso”. La storia gira tutta attorno all’omicidio di un adolescente, considerato dalla fantasia popolare indemoniato. Il male sembra nascosto in molte persone e Avati spiega così le ragioni del suo ritorno a questo genere: “Nasce dalla considerazione che il Male non è stato debellato, non è che la scienza, la tecnologia, l’iphone, l’ipad, abbiano debellato il Male. Il Male continua ad esistere, imperterrito, anzi devo dire che è sempre più presente, riesce ad esprimersi nel modo migliore, con i risultati più devastanti, anche nel nostro presente”.

Oggi per Avati il Male, ovviamente, non è più il Diavolo di allora, ma si nasconde altrove. “Io penso che il potere sia sinonimo di Male, è frainteso, non si capisce che il potere che noi attribuiamo anche attraverso delle elezioni, democratiche, debba essere gestito attraverso il Bene comune, ma molto spesso viene gestito attraverso una sorta di fraintendimento”. “Io credo invece che il diavolo estsita, che il Male esista, che sia anche in noi, che noi lo pratichiamo, che io abbia goduto qualche volta nelle scivolate di altri, e che anche abbia subito il male altrui”.

Per questo suo ritorno al cinema e al thriller-horror Avati ha richiamato alcuni dei “suoi” attori, da Lino Capolicchio a Massimo Bonetti a Gianni Cavina, anche se i protagonisti sono due giovani: Filippo Franchini e Gabriele Lo Giudice. Attraverso di loro guarda quasi con una certa nostalgia a quel mondo arcaico. “La cultura contadina dalla quale io provengo era fatta di una serie di imposizioni, di definizioni, di chiarificazioni che erano estremamente nette, e delle quali io un po’ di nostalgia ce l’ho”.