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Pinar Selek: il problema in Turchia non è Erdogan, ma lo stato

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Cosenza, 8 ott. (askanews) - Sociologa, politologa, scrittrice, femminista. È tutto questo e molto di più Pinar Selek, conosciuta a livello internazionale per il suo impegno in difesa dei diritti umani, in particolare quelli delle donne e dei bambini soprattutto nel suo Paese: la Turchia. A Cose...

Cosenza, 8 ott. (askanews) – Sociologa, politologa, scrittrice, femminista. È tutto questo e molto di più Pinar Selek, conosciuta a livello internazionale per il suo impegno in difesa dei diritti umani, in particolare quelli delle donne e dei bambini soprattutto nel suo Paese: la Turchia. A Cosenza il 4 ottobre ha ricevuto il Premio per la Cultura Mediterranea nella sezione “Società civile”. È arrivata da Nizza, dove vive, visto che da anni non può tornare in patria.

“Dedico questo premio della Cultura Mediterranea a tutte le donne esiliate che non hanno la stessa visibilità che ho io. Io immagino un Mediterraneo che leghi culture, religioni e lingue differenti. Non ho mai creduto alle frontiere nazionali. Ovunque si vada nel Mediterraneo c’è sempre il limone, ci sono le melanzane e l’olio d’oliva”, ha spiegato.

L’impegno in difesa dei più deboli è costato a Selek persecuzioni giudiziarie in Turchia, con accuse di terrorismo e sentenze di condanna sempre poi annullate. Ma non è ancora finita.

“La mia situazione giudiziaria è veramente kafkiana. Ventuno anni fa ho subito un processo molto doloroso, ma mi sono sempre detta che lo stato turco non mi avrebbe mai rubato il sorriso. Sono stata a lungo in prigione, mi hanno torturata, sono stata assolta quattro volte, l’ultima nel 2014. Ora attendiamo la decisione della Corte Suprema. Sarà una sentenza definitiva, ma non sappiamo quando ci sarà. L’attendo dal 2014. Aspetto, pur non cercando di non sprofondare nella psicologia dell’attesa. So che tutto dipende da qualcun altro”.

Nonostante la nostalgia per il paese, l’attivista turca si sente diversa dopo tanti anni all’estero.

“Mi manca molto la Turchia. Non ci vado da dieci anni. Ma oggi sento di non appartenere più a un solo Paese. Oggi non mi sento più un’esiliata, ma piuttosto una nomade. Il mio spostamento è il mio Paese”.

Da esiliata, o nomade, Selek mantiene uno sguardo attento su quanto accade in Turchia

“Oggi molti vedono una speranza di cambiamento nella vittoria del nuovo sindaco di Istanbul, nei tribunali che hanno emesso sentenze interessanti negli ultimi anni. Anche io ripongo speranza nei movimenti nati in Turchia. Ma ci tengo anche a sottolineare una cosa: in Europa si crede che il problema sia Erdogan. Non è così. Il problema è più profondo. È l’apparato statale turco, che è nazionalista e militarista ed esisteva già prima di Erdogan. Il mio processo dura da 21 anni ed è cominciato prima di Erdogan. Non bisogna scordare che la struttura è molto rigida ed esiste da molto tempo. Per fortuna c’è sempre una resistenza che aprirà una strada, oggi o domani. Conservo ancora molte speranze”.