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Asstel: già 65.000 persone in smart working, TLC asset strategico

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Roma, 24 mar. (askanews) - Di necessità virtù. Con l'emergenza coronavirus abbiamo assistito a un'esplosione dello smart working e alla diffusione di nuovi modelli organizzativi e culturali, con un'accelerazione incredibile della rivoluzione digitale di cui si è tanto parlato. Ci sono aziende c...

Roma, 24 mar. (askanews) – Di necessità virtù. Con l’emergenza coronavirus abbiamo assistito a un’esplosione dello smart working e alla diffusione di nuovi modelli organizzativi e culturali, con un’accelerazione incredibile della rivoluzione digitale di cui si è tanto parlato. Ci sono aziende che si sono trovate preparate all’utilizzo di questo strumento, come ci ha spiegato Laura Di Raimondo, direttore generale di Asstel, associazione che rappresenta, all’interno di Confindustria, le imprese della filiera TLC.

“Oggi nelle nostre imprese della filiera delle Tlc abbiamo circa 60-65.000 persone che stanno già operando in smart working, questo coincide con il 50% della dimensione complessiva dei nostri dipendenti e progressivamente giorno per giorno questo numero cresce, con un enorme sforzo delle nostre imprese”.

In alcune imprese il lavoro è realizzato in remoto già al 100%, in altre cresce progressivamente. Smart working non significa solo dotare un lavoratore di smartphone e computer, ma dargli anche fiducia, responsabilizzarlo per una attività che si svolge con ritmi diversi, con nuovi obiettivi e modelli di merito.

“Ad oggi stiamo remotizzando attività come quelle del customer care, dell’assistenza diretta al cliente, che fino a poco fa non erano mai state posizionate in smart working. Tutta questa attività sta consentendo all’intera filiera, alle nostre persone, alle nostre aziende di dimostrare di essere un asset strategico per il paese, di garantire la tenuta dei servizi essenziali, quali che siano gli ospedali, la pubblica amministrazione, le attività lavorative, la scuola e l’università”, sottolinea Di Raimondo.

Una rivoluzione digitale che l’emergenza ci ha imposto, ma che con ogni probabilità resterà anche dopo, a patto che vengano prese decisioni di lungo periodo per stabilizzare il cambiamento. “Quando torneremo alla normalità sono convinta che il nostro modo di lavorare, che abbiamo imparato in questa emergenza e che abbiamo posto in essere in queste settimane e mesi, resterà, perché comunque è entrato a far parte del nostro modo di essere e di rapportarci con il lavoro.

Penso però che il vero cambiamento debba ancora venire ed è un cambiamento profondamente culturale che deve essere anticipato oggi per costruire quello che sarà il dopo, attraverso una normalizzazione delle regole, alcune le abbiamo sperimentate in questo stato di emergenza, e soprattutto un grande investimento sul capitale umano e sulle persone”, conclude Di Raimondo.