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Belgio, per ora niente app: nasce il mestiere del "covid-tracer"

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Roma, 21 mag. (askanews) - In Belgio c'è ancora molto dibattito sulla possibilità di utilizzare una app per il tracciamento dei contagi di Covid-19. Ma per risalire ai contatti avuti negli ultimi giorni dalle persone che risultano positive al virus è nata una nuova professione: il "Covid-tracer...

Roma, 21 mag. (askanews) – In Belgio c’è ancora molto dibattito sulla possibilità di utilizzare una app per il tracciamento dei contagi di Covid-19. Ma per risalire ai contatti avuti negli ultimi giorni dalle persone che risultano positive al virus è nata una nuova professione: il “Covid-tracer”, ovvero il “tracciatore di contagi Covid”.

Sono nati uffici, tipo call center, su impulso del governo, in cui si va alla ricerca dei possibili contagiati, al telefono. Si chiama la persona positiva, che deve indicare tutte le persone con cui ha avuto contatti ravvicinati, a meno di 1,5 metri e per oltre 15 minuti, a partire da due giorni prima della comparsa dei sintomi, poi si informano i diretti interessati. Un sistema laborioso ma che non pone dubbi di privacy, al contrario di una app per smartphone.

In Belgio al momento ci sono stati circa 9000 morti per coronavirus, il tracciamento è preso seriamente. Pierre Fournier fa il “covid tracer” a Bruxelles: “All’inizio temevo di trovare persone riluttanti, invece tutti rispondono alle domande relativamente bene, sono attenti e scrupolosi. Di solito i medici li hanno già informati, quindi quando chiamo hanno una lista pronta di contatti da segnalarmi, otteniamo risposte con relativa facilità.

Le persone considerate ad “alto rischio” di contagio devono essere subito allertate e isolate. Se dopo 24 ore non si riesce a contattarle allora viene organizzata una visita a domicilio, affidata ad assistenti sociali, personale paramedico o autisti di ambulanze. “Abbiamo i pazienti che sono sorpresi dal quello che facciamo – spiega Gladys Villey, responsabile della ricerca sul campo – ci ringraziano per il nostro lavoro – altri che hanno paura, temono di darci i contatti, di comunicare informazioni, sono molto reticenti al nostro approccio. Poi abbiamo persone che rifiutano totalmente di collaborare, perché non si sentono preoccupate, per fortuna però sono una minoranza”.