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Hong Kong simbolo del rapporto sui diritti umani di Amnesty 2019

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Roma, 4 giu. (askanews) - Il 2019 è stato un anno di straordinario attivismo di piazza e di un'altrettanta intensa repressione. Dal Cile all'Iran, da Hong Kong all'Iraq, dall'Egitto all'Ecuador, dal Sudan al Libano una moltitudine di persone, soprattutto giovani, si sono messe di traverso alle po...

Roma, 4 giu. (askanews) – Il 2019 è stato un anno di straordinario attivismo di piazza e di un’altrettanta intensa repressione. Dal Cile all’Iran, da Hong Kong all’Iraq, dall’Egitto all’Ecuador, dal Sudan al Libano una moltitudine di persone, soprattutto giovani, si sono messe di traverso alle politiche ingiuste dei loro governi, andando incontro a violente repressioni. È il quadro delineato dal rapporto 2019-2020 sui diritti umani di Amnesty International, presentato a Roma. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

“Hong Kong dal punto di vista di Amnesty International è un po’ il luogo simbolo di quello che è il tema centrale del rapporto 2019, cioè questa moltitudine di persone che scendono in piazza, si vogliono mettere di traverso rispetto a politiche liberticide, a regimi corrotti. Hong Kong, certo favorita dalla caratteristica geografica del luogo, metà della popolazione lo scorso anno scese in piazza per protestare contro la legge sull’estradizione che poi è stata effettivamente ritirata. Ora il pericolo è questa legge sulla sicurezza nazionale che incombe come un macigno sul fututo di Hong Kong”.

“Intanto alla fine dell’anno emerge l’opacità della gestione delle informazioni sul Covid-19, questo è un tema di cui si sta parlando adesso, ma che di fatto accade nel 2019, quando è stato evidente che informazioni di natura scientifica avrebbero potuto consentire una risposta più rapida. La preoccupazione è stata quella di non mettere in imbarazzo le autorità”, ha sottolineato.

“Una cosa che va sottolineata della repressione del ’19, sono le nuove tattiche di controllo delle manifestazioni. In Iraq queste nuove granate pesantissime, in Cile hanno avuto la tattica deliberata di sparare agli occhi dei manifestanti”, ha ricordato Noury.

A scendere in piazza sono stati soprattutto i giovani e le donne:

“Abbiamo visto in paesi dove lo stereotipo ufficiale prevede che la donna stia in casa, abbiamo visto le donne protagoniste, in Iran, Iraq, in Libano prendere le fila della rivolta, essere in prima linea, protestare contro gli arresti dei loro compagni o fratelli o mariti, lo stesso in Ciòe, ma anche in Ecuador, in Sudan”, ha confermato.

Il 2019 è stato segnato da proteste di massa in tutta l’America Latina. In Venezuela, l’emergenza umanitaria ha costretto quasi 4,8 milioni di persone a fuggire dal Paese.

“Certamente il Venezuela nel 2019 ha visto acuirsi una crisi che è di diritti umani e umanitaria insieme. Umanitaria per la penuria cronica di materie essenziali, penso al cibo, ai medicinali, questa è la ragione principale della fuga, ed è un numero spaventoso, senza precedenti di persone che si sono rifugiate in Colombia, chi in Perù, ma anche paesi dell’America centrale”.

E poi c’è l’Europa dove nel 2019 le violazioni dei diritti umani di richiedenti asilo e migranti che cercavano di attraversare il Mediterraneo hanno raggiunto livelli da record a partire da aprile, con la ripresa delle ostilità in Libia. Un tema che oggi è scomparso, come la guerra in Siria:

“Se ne parla di meno perché ha prevalso una narrazione dei vincitori, per i quali la guerra è finita e ora si ricostruisce – ha spiegato il portavoce, concludendo – In realtà la guerra è continuata, si è concentrata nel nord, soprattutto nel Nord-ovest, nella provincia di Idlib, dalla quale alla fine del 2019 fino a marzo di quest’anno sono fuggiti un milione di persone, perlopiù donne e bambini”.