> > Damien Hirst di fronte a se stesso: pensavo di essere immortale

Damien Hirst di fronte a se stesso: pensavo di essere immortale

featured 1190161

Londra, 11 ott. (askanews) - Damien Hirst ripensa se stesso in una retrospettiva in un certo senso "autogestita" nella propria galleria londinese. Una delle più famose e controverse star del sistema dell'arte ha messo in scena un racconto del suo lavoro, ma lo ha fatto, come è sempre stato nel s...

Londra, 11 ott. (askanews) – Damien Hirst ripensa se stesso in una retrospettiva in un certo senso “autogestita” nella propria galleria londinese. Una delle più famose e controverse star del sistema dell’arte ha messo in scena un racconto del suo lavoro, ma lo ha fatto, come è sempre stato nel suo stile, senza fronzoli, lasciando che fossero i pezzi a parlare di che cosa aveva significato essere uno degli artisti che negli anni Novanta hanno cambiato la scena e riformulato le regole del contemporaneo. In mostra nella Newport Street Gallery testimonianze e tracce di una grandezza selvaggia, ma forse, a giudicare per esempio da alcune versioni del suo leggendario squalo, anche una storia minore, che ci parla del superamento inevitabile di un certo periodo.

“E’ abbastanza buffo vedere le opere qui – ha spiegato Hirst – sembrano un po’ vecchie, danneggiate… Le cose stanno invecchiando in modo nostalgico, sebbene all’epoca io pensassi davvero di essere immortale e che non sarebbe mai finita”.

Le cose cambiano, è inevitabile e l’artista è cambiato con loro, sebbene senza rinunciare a una asprezza da ragazzo di provincia che resta un marchio di fabbrica anche del Damien superstar, una sua sorta di malinconia irrisolvibile. Che ritorna in alcune opere famosissime, come “One Thousand Years”, una sorta di manifesto sulla morte, sull’inevitabile, sul senso di un Tempo che possiamo solo perdere e mai raggiungere. Poi è venuto l’Hirst grandioso e per molti versi sorprendente di un progetto pazzesco come quello portato a Palazzo Grassi a Venezia nel 2018, i tesori del falso naufragio dell’incredulità, ma sotto sotto, e la self retrospective londinese lo fa chiaramente vedere con quella luce fredda e chirurgica che all’artista è sempre piaciuta, restano il dolore, lo spavento, il bisogno apotropaico di trovare antidoti a qualcosa che possiamo chiamare solo la vita.

Qui, gli anni novanta, gli Young British Artist, le mostre da Saatchi, i milioni di sterline, gli adulatori e i collezionisti insaziabili, gli eccessi e le follie, qui tutto questo a un certo punto smette di contare e si torna al cuore del problema e della pratica di Damien Hirst, che finalmente, per un tempo brevissimo, ma decisivo, riusciamo a intravedere nelle sue opere come spogliato, per quanto possibile, della dimensione di personaggio. E ciò che resta è l’artista, con la sua solitudine e la sua rilevanza. Prima che il clamore ricominci.