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Viminale, la moglie del capo del Dipartimento Immigrazione è indagata per caporalato

Carabinieri

Oltre al caporalato vi sono altri capi d'accusa. Nel maxi blitz sono state arrestate altre 16 persone

Uno scandalo ha colpito il Viminale. La moglie del capo dell’immigrazione presso il Ministero dell’Interno è indagata per caporalato e sfruttamento.

Caporalato nel foggiano: indagata per caporalato e sfruttamento la moglie di un alto funzionario

La ministra Lamorgese ha accettato subito le dimissioni di Michele Di Bari, marito della donna indagata. L’operazione condotta dai carabinieri nel Foggiano, ha portato all’arresto di 16 persone tra cui la moglie dell’alto funzionario del Viminale. Le indagini sono ancora in corso in quanto potrebbero essere coinvolte altre persone. I capi d’accusa sono caporalato, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Caporalato nel foggiano: il business degli immigrati

L’operazione è iniziata nel luglio del 2020 e non è ancora terminata. Le vittime dello sfruttamento sono tutti immigrati clandestini prevalntemente africani. Il giro che si è creato dietro ammonta a circa 5milioni di euro. Questa rete di sfruttamento ha visto il lavoro coordinato di caporali ed imprenditori, che si occupavano di reclutamento, sistema di selezione, utilizzo e pagamento della manodopera. La moglie dell’ex alto funzionario del Viminale aveva un ruolo importante, in quanto era l’anello di congiunzione tra i caporali e le imprese.

Caporalato nel foggiano: come avveniva lo sfruttamento

Ovviamente, non poteva mancare il coinvolgimento di alcuni immigrati in questa rete criminale. Il loro ruolo era quello di trasportare e trovare lavoro alle persone sfruttate. I luoghi di lavoro erano principalmente le campagne del Foggiano. Gli immigrati sfruttati vivevano in condizioni disumane in delle baracche e le condizioni in cui lavoravano erano anche peggiori. I lavoratori venivano pagati 5,70 euro l’ora e non oltre i 35 euro, per ogni cassa che riuscivano a riempire. Inoltre, le persone sfruttate erano costrette a versare una sorta di tassa agli immigrati complici dello sfruttamento, che ammontava a 10 euro ciascuno. In questa tassa era previsto il pagamento del trasporto nei campi (andata e ritorno) e il ringraziamento per il lavoro trovato.