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Il profilo di Emanuele De Maria
Emanuele De Maria, 35 anni, era considerato un detenuto modello. Descritto da psicologi e educatori del carcere di Bollate come “equilibrato e collaborativo”, il suo percorso di riabilitazione sembrava promettente. Impegnato nello studio universitario e in grado di instaurare relazioni affettive, De Maria aveva ottenuto permessi per lavorare all’esterno, un’opportunità concessa a detenuti che dimostrano segni di resipiscenza.
Tuttavia, la sua apparente stabilità si è rivelata illusoria, culminando in un tragico femminicidio.
Il femminicidio di Chamila Wijesuriya
La vittima, Chamila Wijesuriya, 51 anni, di origine cingalese, era una collega di De Maria. I documenti ufficiali parlano di “relazioni affettive” sul posto di lavoro, ma la natura di queste interazioni è emersa solo dopo il delitto. In un arco di 48 ore, De Maria ha ucciso Wijesuriya e tentato di assassinare un altro collega, Hani Fouad Abdelghaffar Nasr, prima di suicidarsi lanciandosi dalla terrazza del Duomo di Milano. Questo drammatico epilogo ha sollevato interrogativi sulla gestione della sorveglianza dei detenuti e sulla valutazione dei rischi associati a permessi di lavoro esterni.
Le reazioni istituzionali e le indagini
La Procura di Milano ha avviato un’indagine approfondita, acquisendo tutte le relazioni e i documenti del carcere per valutare se ci siano state sottovalutazioni nel monitoraggio di De Maria. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha richiesto una relazione urgente, mentre il vice ministro Francesco Paolo Sisto ha espresso preoccupazioni riguardo alla concessione di permessi a detenuti con reati gravi, come il femminicidio. Anche il vicepremier Matteo Salvini ha chiesto chiarimenti, evidenziando la necessità di una revisione delle procedure di sorveglianza e dei criteri per l’assegnazione di permessi di lavoro.
Il dibattito sulla riabilitazione dei detenuti
Questo caso ha riacceso il dibattito sulla riabilitazione dei detenuti e sulla sicurezza pubblica. Se da un lato è fondamentale promuovere il reinserimento sociale di chi ha scontato la propria pena, dall’altro è necessario garantire che non ci siano rischi per la comunità. Le istituzioni devono trovare un equilibrio tra il diritto alla riabilitazione e la protezione delle vittime potenziali. La tragedia di Chamila Wijesuriya non deve essere dimenticata, ma deve servire da monito per migliorare il sistema penitenziario e le politiche di sorveglianza.