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Il ministro degli Esteri australiano, Penny Wong, ha recentemente affermato che il riconoscimento dello stato palestinese è “una questione di quando, non di se”. Questa dichiarazione risuona in un momento critico, caratterizzato da proteste in aumento in Australia contro la guerra tra Israele e Gaza. Centinaia di migliaia di persone hanno preso parte a manifestazioni pacifiche per chiedere un cessate il fuoco e una soluzione duratura al conflitto.
Ma cosa sta realmente accadendo in Australia?
Proteste di massa a Sydney
Durante un’intervista con la Australian Broadcasting Corporation (ABC), Wong ha commentato l’impressionante afflusso di persone alla manifestazione di Sydney, dove gli organizzatori hanno stimato che tra 200.000 e 300.000 manifestanti abbiano attraversato il Sydney Harbour Bridge. Questo numero, inizialmente calcolato in 90.000 dalla polizia, evidenzia l’ampia opposizione dell’opinione pubblica australiana alla situazione critica in Gaza. Ma cosa spinge così tante persone a scendere in piazza?
“Condividiamo il desiderio dei manifestanti di pace e di un cessate il fuoco”, ha dichiarato Wong, sottolineando la crescente preoccupazione della comunità australiana per la drammatica situazione umanitaria a Gaza, dove si segnalano morti di donne e bambini e una mancanza di aiuti. Nonostante ciò, la ministra ha eluso l’impegno verso misure concrete come le sanzioni a Israele, affermando che “non speculiamo sulle sanzioni per ovvie ragioni: hanno un impatto maggiore se non vengono annunciate in anticipo”. Ma è davvero il momento di evitare decisioni forti?
La posizione dell’Australia e le relazioni con Israele
Wong ha confermato che l’Australia ha già imposto sanzioni a due ministri di destra del governo Netanyahu, Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, oltre a coloni israeliani estremisti. Tuttavia, la posizione ufficiale dell’Australia sul riconoscimento della Palestina rimane ambigua. Wong ha chiarito che il governo australiano non ha intenzione di cambiare la sua linea politica attuale, nonostante le pressioni interne ed esterne. Ma cosa significa questo per il futuro delle relazioni tra Australia e Israele?
Il Primo Ministro australiano, Anthony Albanese, ha dichiarato di voler discutere con il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, dopo le manifestazioni di domenica. Albanese ha ribadito il supporto per una soluzione a due stati, ma le critiche stanno crescendo da parte di attivisti e analisti, come Rawan Arraf, che hanno esortato il governo a non legittimare un “criminale di guerra” e a discutere di sanzioni e misure più severe. La pressione aumenta, e il governo cosa intende fare?
Una divisione crescente all’interno del governo australiano
Le recenti manifestazioni hanno messo in luce una crescente frattura all’interno del Partito Laburista di Albanese. Alcuni membri di alto livello hanno partecipato alle proteste, mentre il governo ha cercato di contenere il dissenso. Anche se Albanese ha riconosciuto la legittimità delle preoccupazioni dei cittadini, il suo governo ha tentato di limitare la portata delle manifestazioni, decidendo inizialmente di bloccare l’accesso al Sydney Harbour Bridge, una decisione poi ribaltata dalla Corte Suprema. Ma fino a dove arriverà il governo per placare le acque?
Indipendenti come il giornalista Antony Loewenstein hanno evidenziato il crescente malcontento tra gli australiani, che vedono il governo come complice delle azioni di Israele. “Le persone sono indignate non solo per ciò che Israele sta facendo a Gaza, ma anche per l’inazione del nostro governo”, ha affermato Loewenstein, sottolineando il ruolo dell’Australia nella catena di fornitura degli F-35, utilizzati da Israele nel conflitto attuale. In un contesto così delicato, quale sarà la risposta finale dell’Australia?