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In un momento cruciale per la lotta contro l’inquinamento da plastica, l’ONU si riunisce in Svizzera per negoziare un trattato internazionale destinato a limitare la produzione di plastica. Ogni anno, il mondo genera circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, una cifra allarmante che supera il peso combinato di tutta la popolazione terrestre.
Solo il 9% di questo materiale viene riciclato, e le previsioni suggeriscono che le emissioni globali derivanti dalla produzione di plastica potrebbero triplicare entro il 2050. Nonostante gli sforzi dell’ONU per giungere a un accordo dal 2022, i colloqui si sono spesso arenati, in particolare per quanto riguarda l’implementazione di limiti sulla produzione di plastica. Molti attivisti puntano il dito contro i paesi produttori di petrolio, le cui economie dipendono fortemente dalla plastica, per il blocco delle negoziazioni.
Il concetto di plastic offsetting
Durante l’incontro di questa settimana, si discute anche del plastic offsetting, un approccio che cerca di replicare il modello dei crediti di carbonio. Ti sei mai chiesto come le aziende possano “compensare” i loro rifiuti plastici? In questo contesto, le aziende che emettono plastica possono acquistare crediti plastici per compensare la loro produzione. Analogamente a quanto accade con i crediti di carbonio, dove le aziende finanziano progetti di riforestazione per “annullare” le loro emissioni, nel caso dei crediti plastici, i colpevoli possono pagare per la raccolta e il riutilizzo della plastica. Ogni tonnellata di plastica raccolta corrisponde a un credito plastico. Se un’azienda acquista crediti plastici equivalenti alla sua produzione annuale, può ottenere lo status di “plastic neutral” o “plastic net zero”. Tuttavia, la validità di questo approccio è oggetto di acceso dibattito.
Le critiche ai crediti plastici sono simili a quelle mosse ai crediti di carbonio. Recenti analisi hanno rivelato che solo una piccola frazione dei crediti di carbonio genera reali riduzioni delle emissioni. Barbara Haya, esperta di commercio di carbonio, ha dichiarato che molte aziende fanno affermazioni fuorvianti, portando i consumatori a credere che i loro acquisti siano “carbon neutral”, mentre in realtà non lo sono. Ma cosa accade con i crediti plastici? Un’analisi del Plastic Credit Exchange (PCX) nelle Filippine ha trovato che solo il 14% dei crediti andava effettivamente a progetti di riciclo; la maggior parte della plastica raccolta veniva bruciata come combustibile per le fabbriche di cemento, rilasciando notevoli quantità di CO2 e tossine.
Le posizioni delle istituzioni e delle aziende
Il World Bank sta guardando ai crediti plastici come a una soluzione potenziale, avendo lanciato nel gennaio scorso un’obbligazione da 100 milioni di dollari legata a progetti di crediti plastici in Ghana e Indonesia. Durante i recenti incontri dell’ONU, un esperto ambientale della banca ha descritto i crediti plastici come uno strumento finanziario emergente per finanziare progetti di riduzione dell’inquinamento plastico. Tuttavia, le aziende coinvolte in questo mercato, come ExxonMobil e Dow Chemical, sono anche membri di gruppi di lobby che si oppongono a qualsiasi tipo di limitazione sulla produzione di plastica.
Critici come Anil Verma, professore presso l’Università di Toronto, definiscono il plastic offsetting un “gioco di greenwashing”, sostenendo che consente ai politori di affermare di affrontare il problema dei rifiuti senza dover ridurre la produzione. Anche aziende di grandi dimensioni come Nestlé e Coca-Cola hanno espresso scetticismo riguardo all’efficacia dei crediti plastici, preferendo sostenere iniziative che impongano responsabilità diretta ai produttori.
Le conseguenze per le comunità vulnerabili
È fondamentale considerare come i crediti plastici possano influenzare le comunità vulnerabili che dipendono dalla plastica per il loro sostentamento. Johnson Doe, leader di un gruppo di raccoglitori di rifiuti ad Accra, ha sottolineato che i fondi per l’offsetting dovrebbero essere investiti direttamente nel supporto a questi lavoratori, piuttosto che in crediti plastici, che considera una “falsa soluzione”. La sua associazione desidera essere riconosciuta e finanziata adeguatamente, mentre gli investimenti continuano a fluire verso crediti plastici che non risolvono il problema alla radice. Come possiamo migliorare la situazione per queste comunità e garantire un futuro sostenibile? Questa è una domanda che merita attenzione e azione immediata.