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Tensioni in Caucaso: Iran si oppone al piano di Trump

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Iran si oppone ai piani americani per un corridoio di pace tra Azerbaigian e Armenia, segnalando un allontanamento da Mosca.

Negli ultimi giorni, l’Iran ha alzato la voce contro il nuovo corridoio di trasporto nel Caucaso, un’iniziativa sostenuta dall’amministrazione Trump. Teheran ha fatto sapere che non intende rimanere in silenzio e bloccherà questo progetto, parte di un accordo di pace mediato dagli Stati Uniti tra Azerbaigian e Armenia. A confermare la posizione iraniana è stato Ali Akbar Velayati, consigliere del leader supremo iraniano, che ha affermato che l’Iran agirà “con o senza la Russia”.

Ma cosa si nasconde dietro a questa controversia?<\/p>

Reazioni iraniane al piano di pace

In un’intervista, Velayati ha descritto il corridoio come una vera e propria “trappola politica” che mette a rischio l’integrità territoriale dell’Armenia. Le sue parole sono forti: “Questo passaggio non sarà un gateway per i mercenari di Trump, ma diventerà il loro cimitero”. L’accordo, presentato durante una cerimonia alla Casa Bianca, prevede diritti esclusivi di sviluppo per gli Stati Uniti lungo un percorso che collegherà l’Azerbaigian a Nakhchivan, un’enclave azera situata al confine con la Turchia. E non è tutto: questo corridoio, che passerà vicino al confine iraniano, è stato battezzato “Trump Route for International Peace and Prosperity” (TRIPP). Ma quali saranno le conseguenze di questa iniziativa per la regione?<\/p>

Velayati ha anche sollevato preoccupazioni riguardo alla possibilità che la NATO si posizioni “come una vipera” tra Iran e Russia, evidenziando le implicazioni strategiche di questa manovra. In un secondo momento, il Ministero degli Esteri iraniano ha rilasciato una dichiarazione in cui si esprime preoccupazione per le conseguenze negative di qualsiasi intervento straniero vicino ai confini iraniani. Pur accogliendo l’accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian, Teheran insiste affinché qualsiasi progetto nella sua vicinanza venga sviluppato nel rispetto della sovranità nazionale. Insomma, un gioco di potere che potrebbe avere ripercussioni su scala regionale.

Le reazioni dei principali attori regionali

Il Ministero degli Esteri della Russia ha accolto con cautela l’accordo, esprimendo il proprio supporto per sforzi volti a promuovere stabilità e prosperità nella regione. Tuttavia, ha avvertito contro l’intervento esterno, sottolineando che le soluzioni durature devono essere sviluppate dai paesi della regione. “Il coinvolgimento di attori non regionali dovrebbe rafforzare l’agenda di pace, non creare nuove divisioni”, ha dichiarato il ministero russo. È un avviso che non si può ignorare, non credi?

Nel frattempo, la Turchia ha manifestato l’auspicio che il nuovo corridoio di transito possa incrementare le esportazioni di energia e risorse attraverso il Caucaso meridionale. Membro della NATO, la Turchia ha storicamente sostenuto l’Azerbaigian nei conflitti con l’Armenia, ma ha promesso di ripristinare i legami con Yerevan dopo la firma di un accordo di pace definitivo con Baku. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha già discusso dell’accordo di pace con il suo omologo azero, Ilham Aliyev, esprimendo il supporto di Ankara per una pace duratura nella regione. Ma cosa significa realmente tutto questo per i rapporti tra i paesi coinvolti?

Il contesto storico del conflitto

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian ha radici profonde, risalenti alla fine degli anni ’80, quando il Nagorno-Karabakh, una regione a maggioranza armena, si staccò dall’Azerbaigian con l’appoggio di Yerevan. L’anno scorso, l’Armenia ha accettato di restituire diversi villaggi all’Azerbaigian, un evento che Baku ha definito “storico”. Ahmad Shahidov, dell’Istituto azero per la democrazia e i diritti umani, ha dichiarato che si aspetta una dichiarazione di pace definitiva tra Armenia e Azerbaigian nelle prossime settimane. Questo accordo mediato dagli Stati Uniti rappresenta una “roadmap” verso l’intesa finale, ora che non ci sono più dispute territoriali irrisolte tra i due vicini. Ma sarà davvero la fine di un conflitto che ha segnato la vita di milioni di persone?<\/p>