Ci sono uomini e donne che hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco, creare un’impresa, dare lavoro, generare valore. Imprenditori capaci, spesso visionari, che hanno investito tempo, denaro e competenze nella costruzione di progetti ambiziosi. Poi qualcosa si è spezzato. Una crisi economica, un cliente importante che non paga, un investimento andato male.
E improvvisamente, ciò che era forza diventa debolezza.
Il fallimento, in Italia, è ancora oggi vissuto come una colpa più che come un’esperienza. Chi cade non solo perde tutto, ma viene spesso escluso in modo permanente dal sistema economico. Le banche non concedono più credito. Lo Stato continua a pretendere quanto dovuto, diventando insieme creditore e giudice. Le centrali rischi marchiano chi ha avuto difficoltà come un soggetto inaffidabile, da evitare.
Eppure, chi ha vissuto il fallimento non è necessariamente un incapace. Al contrario, molti ex imprenditori sono persone competenti, esperte, con una visione e una voglia di riscatto che meritano attenzione. Il problema non è la loro storia, ma l’assenza di strumenti concreti per ripartire.
Oggi, qualcosa sta cambiando. Il Codice della Crisi e la normativa sul sovraindebitamento introducono finalmente un nuovo approccio. Per la prima volta, anche chi non è fallibile in senso tecnico può ottenere la liberazione dai debiti pregressi e iniziare una nuova vita economica.
La legge 3 del 2012 prima, e oggi il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), hanno creato una rete di protezione per quei soggetti che, pur non potendo accedere al fallimento, si trovano in una situazione di crisi irreversibile. Parliamo di ex imprenditori individuali, soci illimitatamente responsabili, professionisti, lavoratori autonomi. Per loro esistono strumenti come la liquidazione controllata, il piano del consumatore, il concordato minore, l’esdebitazione del debitore incapiente.
Il dato è chiaro: secondo recenti indagini, oltre il 35 per cento degli ex imprenditori italiani che hanno vissuto un insuccesso non è mai più riuscito a rientrare nel mercato, non per mancanza di competenze, ma per l’impossibilità di ottenere nuova fiducia dal sistema. Nelle regioni in cui le procedure sono applicate in modo efficace, però, una parte significativa riesce a rientrare nel tessuto economico attraverso percorsi di esdebitazione legale.
Il Codice della Crisi non è una sanatoria. Richiede trasparenza, correttezza e collaborazione con gli Organismi di Composizione della Crisi. Ma rappresenta una possibilità concreta per chi ha sbagliato senza malafede, per chi ha agito con diligenza pur nella difficoltà, per chi è disposto a mettersi nuovamente in gioco.
Ripartire è possibile. Basta sapere come.
Oggi esistono consulenti specializzati in grado di affiancare chi si trova in difficoltà, valutando la strada più adatta e predisponendo tutta la documentazione necessaria. L’accesso alla procedura non richiede anticipi elevati, né garanzie. Richiede però una scelta: quella di affrontare i problemi, uscirne legalmente e costruire qualcosa di nuovo.
C’è un’Italia fatta di imprenditori che attendono solo un’occasione per tornare a creare. Il Codice della Crisi è quell’occasione. Sta a noi coglierla, capirla, farla conoscere.