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Contraddizioni nelle esportazioni di armi italiane verso Israele

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Le dichiarazioni governative di blocco delle armi verso Israele si scontrano con la realtà del traffico attivo e sfuggente di munizioni e componenti bellici.

Il 20 gennaio 2024, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che l’Italia ha interrotto l’invio di armi a Israele dall’inizio del conflitto a Gaza. Tuttavia, evidenze recenti suggeriscono un quadro ben diverso. Scoperte nei porti italiani, in particolare a Ravenna, evidenziano come il traffico di armi sia tutt’altro che fermo.

Le affermazioni ufficiali e la realtà

Il 15 ottobre 2024, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha confermato in Senato che il governo ha sospeso ogni nuova licenza di esportazione di armi. Ha sottolineato che questa posizione è più restrittiva rispetto a quella di Francia, Germania e Regno Unito, dichiarando: «noi abbiamo bloccato tutto». Tuttavia, il 30 giugno 2025, la nave New Zealand della compagnia Zim è giunta al porto di Ravenna, non per scaricare, ma per caricare munizioni e esplosivi diretti a Haifa, in violazione delle disposizioni governative.

Carlo Tombola, di Weapon Watch, ha confermato che un lavoratore del porto ha notato che i container erano etichettati come “esplosivi classe 1.4”. Questo evento non è isolato; riflette un modus operandi più ampio, tramite il quale armi e materiali bellici continuano a muoversi verso Israele, spesso con transiti attraverso altri Paesi o con licenze già attive.

Le pratiche elusive del commercio di armi

Le autorità italiane sembrano essere a conoscenza di queste pratiche. A febbraio 2025, è stato scoperto un carico di oltre 14 tonnellate di componenti bellici mascherati da materiale civile, diretto a IMI (Industrie Militari Israeliane). Tombola ha riferito che, nonostante le dichiarazioni politiche, ci sono aziende come la Valforge di Lecco che operano come intermediari, spedendo materiali bellici facendo leva su contratti pre-esistenti.

L’attuale legislazione italiana consente che contratti già firmati e finanziati continuino a essere eseguiti a meno di un esplicito stop politico. Questo vuoto normativo consente alle aziende di difesa di eludere i divieti proclamati. Secondo la Relazione annuale dell’UAMA 2024, l’Italia ha autorizzato esportazioni militari verso Israele per circa 21 milioni di euro, con Leonardo e Fincantieri tra i principali fornitori.

Le implicazioni politiche e sociali

Il paradosso è evidente. Mentre le autorità italiane proclamano un blocco totale, i porti come Ravenna, La Spezia, Genova e Livorno continuano a essere punti di partenza per armi destinate a Israele. A La Spezia, ad esempio, la fabbrica di Leonardo produce armi navali, mentre Genova rappresenta il principale porto per passaggi discreti di merce. Questo scenario ha portato a una crescente insoddisfazione tra le associazioni che monitorano il traffico di armi.

La scoperta delle armi non autorizzate ha acceso il dibattito sulle responsabilità. Il sindaco di Ravenna, Alessandro Barattoni, ha incolpato il Ministero dei Trasporti, mentre altri hanno indicato l’autorità portuale e l’Agenzia delle dogane. Questo scaricabarile evidenzia una mancanza di coordinamento e trasparenza nel monitoraggio delle esportazioni di armi.

Il 16 settembre è prevista una manifestazione di protesta a Ravenna, coincidente con un incontro tra rappresentanti del Ministero della Difesa israeliano e l’azienda Rafael, accusata di crimini contro l’umanità. Questo evento rappresenta un chiaro segnale che il tema delle esportazioni di armi e il loro impatto sulla guerra e sui diritti umani rimane una questione scottante in Italia.