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Emanuele De Maria aveva pianificato tutto? Spunta un nuovo dettaglio inquietante

Emanuele De Maria

Per il pm De Tommasi, la premeditazione è certa: decisivi i contrasti tra colleghi legati alla relazione con Wijesuriyauna.

Un piano lucido, forse studiato nei minimi dettagli. È questa la convinzione maturata dal pm di Milano, Francesco De Tommasi, che vede nella vicenda di Emanuele De Maria non solo un delitto dalle tinte oscure, ma anche il frutto di una premeditazione alimentata da tensioni personali e professionali. Al centro del caso, i rapporti sempre più tesi tra colleghi e una relazione sentimentale controversa con Chamila Wijesuriyauna.

Emanuele De Maria aveva pianificato tutto? La difesa del legale

Secondo il legale dell’uomo, Daniele Tropea, il suo assistito aveva ottenuto il permesso di lavorare all’esterno grazie al percorso rieducativo positivo seguito all’interno del carcere. La sua situazione era stata esaminata sia dall’area educativa del carcere di Bollate sia dal magistrato di Sorveglianza di Milano.

Il difensore all’ANSA ha aggiunto di non aver mai immaginato un epilogo simile, né che De Maria potesse violare le disposizioni a cui era sottoposto. Lo stesso De Maria, considerato un esempio di reinserimento, era stato intervistato dalla trasmissione Confessione Reporter, dove aveva affermato che il lavoro gli dava un senso di libertà.

Sul caso De Maria è intervenuto anche il Parlamento. Il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sollecitando un’ispezione sulle strutture giudiziarie coinvolte nella concessione dei permessi al 35enne.

Emanuele De Maria aveva pianificato tutto? La drammatica scoperta nelle indagini

Emanuele De Maria avrebbe agito seguendo un piano preciso. Prima l’assassinio di Chamila Wijesuriyauna, 50 anni, ritrovata senza vita nel Parco Nord di Milano, poi il ferimento grave di Hani Nasr, 51 anni, colpito con diverse coltellate. Entrambe le vittime lavoravano con De Maria all’hotel Berna, nei pressi della stazione Centrale.

L’uomo, 35 anni, si trovava in regime di semilibertà e beneficiava di un permesso per svolgere attività lavorativa esterna. Nel pomeriggio di domenica 11 maggio, si è tolto la vita lanciandosi dal terrazzo del Duomo di Milano. La Procura ha disposto l’esame autoptico su entrambe le salme, anche per chiarire se De Maria avesse assunto sostanze stupefacenti prima di compiere i gesti estremi.

Per De Maria non si trattava di un episodio isolato. Nel 2016 aveva ucciso la 23enne Rachem Oumaima, ricevendo una condanna a 14 anni, poi ridotta a 12 in appello. Arrestato nel 2018 dopo una fuga di due anni in Germania, era detenuto a Bollate, dove si era distinto come detenuto modello, ottenendo così il permesso di lavoro esterno.

Un metodo d’azione che rievoca sinistre somiglianze con il delitto del 2016: la collega 50enne è stata trovata senza vita, con lesioni profonde al collo e ai polsi, identiche a quelle inflitte alla giovane Rachem Oumaima. Un elemento che alimenta i sospetti su una pianificazione fredda e ripetitiva, segno di un possibile schema criminale reiterato.