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“Mia moglie”: migliaia di immagini rubate su Facebook, indagine in corso e testimonianze choc

gruppo facebook mia moglie

“Mia Moglie”, il gruppo Facebook con 32mila iscritti: chiuso dopo la valanga di segnalazioni. I racconti delle vittime.

Un gruppo Facebook chiamato “Mia moglie” è finito sotto la lente della Procura dopo la diffusione di centinaia di foto intime rubate. In appena due giorni, le segnalazioni degli utenti hanno superato quota duemila, facendo emergere la portata del fenomeno. Il gruppo, attivo da tempo, raccoglieva immagini private di donne senza il loro consenso, condividendole con migliaia di iscritti.

I racconti delle vittime sono drammatici.

“Mia moglie”: gruppo Facebook con foto intime rubate

Legate dallo stesso dolore, diverse donne hanno scoperto di essere state vittime di gravi violazioni della privacy nel gruppo Facebook “Mia Moglie”, che contava oltre 32mila iscritti e diffondeva immagini intime rubate di mogli, compagne e figlie. La scoperta è emersa nei giorni in cui è esploso lo scandalo social, portando alla luce il funzionamento della community, tra commenti sessisti e violenti rivolti alle foto pubblicate senza alcun consenso.

Travolta da una valanga di segnalazioni, Meta ha deciso di chiudere il gruppo, ma le ferite psicologiche inflitte alle vittime restano profonde. A far emergere quello che molti definiscono un vero e proprio “orrore” è stata la denuncia pubblica della scrittrice Carolina Capria e del collettivo “No justice no peace”, che hanno dato il via a oltre mille denunce alla Polizia Postale e allo smantellamento della community.

“Mia moglie”: migliaia di immagini intime rubate su Facebook, scatta l’indagine

La Polizia Postale ha aperto accertamenti per identificare gli amministratori e i principali responsabili della diffusione illecita delle immagini. Secondo quanto ricostruito, molti dei membri più attivi rimanevano anonimi e hanno annunciato la migrazione verso altre piattaforme come Telegram e chat di WhatsApp, generando nuovi gruppi simili. Dal punto di vista legale, il caso rientra nelle fattispecie di revenge porn, disciplinate dall’articolo 612-ter del codice penale, con pene fino a sei anni di carcere per chi diffonde immagini sessualmente esplicite senza consenso. Meta, dal canto suo, ha giustificato la chiusura del gruppo per violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale, ma resta aperta la domanda su come fosse possibile la permanenza della community dal 2019 senza interventi precedenti.

“Mia moglie”, gruppo Facebook con foto intime rubate: le testimonianze choc

Le vittime hanno raccontato il trauma di vedere le proprie immagini intime sui social. La storia di Chiara, nome inventato, è stata affidata agli amministratori della community Alpha Mom:

“Ho visto le foto del mio corpo nudo, immagini che avevo condiviso con mio marito, e sotto dei commenti agghiaccianti. A diffondere quelle foto era stato proprio l’uomo con cui ho creato una famiglia. Ho provato ribrezzo, sconforto, delusione, paura”.

In un altro caso riportato da Il Corriere, una donna ha individuato una foto del proprio letto e del proprio corpo, scattata a sua insaputa, tra i contenuti del gruppo. Entrambe descrivono il senso di tradimento, la frattura emotiva in famiglia e l’umiliazione di essere state esposte come oggetti.

“Questa storia girava da giorni, ho visto che molte donne l’avevano commentata, così mi sono messa a curiosare. Sono entrata senza iscrivermi e ho visto un po’ di commenti, uno più schifoso dell’altro. Mi sono stupita nel vedere che c’erano nomi di professionisti della mia città, gente che conosco, alcuni che ho sempre stimato, addirittura persone delle forze dell’ordine, giornalisti. Sono tornata indietro fino a maggio-giugno e a quel punto ho visto una foto… Ci ho messo un po’ prima di realizzarlo: quello era il mio letto. Ero io, in primo piano. Non c’erano nomi né il viso ma è ovvio che mi sono riconosciuta“.

Psicologi e associazioni denunciano come queste violenze digitali siano forme gravi di abuso, capaci di minare autostima, fiducia e sicurezza delle vittime, mentre la mobilitazione online mostra la solidarietà e l’indignazione collettiva contro questo fenomeno.