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Neonata rapita a Cosenza: Rosa Vespa fuori dal carcere. Dolore e rabbia tra i familiari

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Rosa Vespa agli arresti domiciliari: la famiglia della neonata rapita a Cosenza si oppone fermamente alla decisione di scarcerazione.

Rosa Vespa, la donna accusata del rapimento di una neonata a Cosenza, è tornata in libertà. La decisione del tribunale ha suscitato l’immediata reazione della famiglia della piccola, che non nasconde indignazione e sgomento.

Neonata rapita a Cosenza

Il 21 gennaio 2025, Rosa Vespa, 51 anni, ha rapito la neonata Sofia dalla clinica Sacro Cuore.

Per mesi aveva simulato una gravidanza, indossando abiti larghi e pubblicando sui social notizie false sulla nascita di un bambino di nome Ansel. Insieme al marito, Omogo Chiediebere Moses, 43 anni, ha pianificato il rapimento fingendosi parenti in visita. La coppia è stata arrestata poche ore dopo il sequestro, mentre Rosa Vespa teneva ancora in braccio la piccola Sofia nella loro abitazione di Castrolibero.

L’uomo, inizialmente arrestato per il rapimento della neonata, è stato successivamente scarcerato dal giudice per le indagini preliminari, che ha ritenuto insussistente la sua responsabilità nel crimine. Secondo gli inquirenti, Rosa Vespa avrebbe agito da sola, ingannando anche il marito riguardo alla sua presunta gravidanza e al parto. Moses ha sempre sostenuto di essere stato completamente all’oscuro del piano della moglie, dichiarando di averle creduto perché avevano una relazione da molti anni e non aveva motivo di dubitare.

Neonata rapita a Cosenza: Rosa Vespa lascia il carcere. La rabbia della famiglia

Il 16 luglio 2025, Rosa Vespa è stata trasferita agli arresti domiciliari, mentre il processo è previsto per il 25 settembre.

Abbiamo proposto istanza al pubblico ministero al fine di sollecitare l’impugnazione di un provvedimento che per noi è inammissibile perché non ci è mai stato notificato nulla. Né la prima istanza con la quale si chiedevano i domiciliari con braccialetto elettronico, né la seconda con la quale si chiedevano i domiciliari senza braccialetto elettronico, non essendo al momento lo stesso disponibile. Questa seconda istanza tra l’altro non vede neanche il parere del pubblico ministero. Quindi al di là del merito della questione, per noi c’è un problema tecnico procedurale perché siamo stati estromessi dal contraddittorio, che invece è previsto per i reati con violenza sulla persona”, ha dichiarato la famiglia della neonata con i suoi legali.

Secondo quanto emerge dal ricorso depositato dai legali e visionato dall’Adnkronos, il giudice per le indagini preliminari aveva già disposto l’11 luglio la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la detenzione domiciliare, subordinata all’installazione di un dispositivo di sorveglianza elettronica. Di conseguenza, Rosa Vespa avrebbe potuto lasciare la struttura penitenziaria per scontare la misura cautelare presso la propria abitazione, con l’ausilio del braccialetto elettronico.

Tuttavia, come riportano i difensori, quattro giorni dopo – il 15 luglio – il gip, preso atto delle difficoltà tecniche legate all’attivazione del dispositivo, ha comunque confermato la detenzione ai domiciliari, omettendo sia l’uso del braccialetto elettronico sia la richiesta del parere del pubblico ministero.

L’obiettivo degli avvocati Penna e Pisani non è tanto la tutela della minore Sofia, quanto quella dell’interesse pubblico legato al rischio di reiterazione del reato. I legali ricordano che il consulente tecnico della procura ha considerato Rosa Vespa perfettamente capace di intendere e di volere, con un livello medio di pericolosità psichiatrica. Restano ora in attesa di conoscere se il giudice accoglierà la richiesta di rito abbreviato subordinata a una perizia.

I difensori trovano incredibile, infine, che gli inquirenti credano che i familiari di Rosa Vespa, incluso il marito Omogo Chiediebere Moses, fossero all’oscuro della vicenda. Difficile infatti pensare che abbiano accettato senza dubbi la versione di una gravidanza naturale e un parto da sola, nonostante le condizioni mediche e l’età della donna. Alla luce del contesto culturale e del profilo della famiglia, gli avvocati ritengono questa storia poco plausibile.