Anna Chiti aveva 17 anni. Una ragazza sveglia, curiosa, appassionata del mare. Quella mattina era salita sul Calita, un catamarano di 12 metri, per iniziare il suo primo giorno di lavoro.
Il giorno sul catamarano, il sogno di Anna Chiti si trasforma in incubo
Doveva solo aiutare Anna Chiti. Fare da interprete, tradurre per i turisti stranieri a bordo.
Non manovrare il catamarano. Non rischiare la vita.
Invece qualcosa sembra essere andato storto. Era al porto turistico di Marina di Sant’Elena, Venezia. Una cima tra le mani, un attimo e… il vuoto. La corda finisce nell’elica, lei cade in acqua. Le pale sembrano non lasciarle scampo. Quando i soccorsi arrivano, è già tardi per la ragazza. Nessun giubbotto di salvataggio, nessun aiuto, nessuna esperienza evidentemente solo lei e lo skipper. Un equipaggio ridotto all’osso per un’imbarcazione del genere. Almeno così sembrerebbe. Ma cosa è successo? Perchè questa ragazza si è ritrovata in questa situazione?
Il padre, Umberto Chiti, portuale ed ex sommozzatore, non si dà pace: «Anna doveva solo parlare inglese. Non fare manovre su quel catamarano. Su quella barca, da sola, con una cima in mano… non ci doveva stare». E si chiede, con la voce rotta: «Come fai a mandare una ragazzina a fare quel tipo di lavoro, senza protezioni, senza affiancamento?». Il sogno si è infranto in quel porto, sotto gli occhi del mare che lei amava.
Ombre sulla morte di Anna Chiti: cosa non ha funzionato su quel catamarano?
Non c’è un contratto. O almeno, nessuno lo ha ancora trovato. Secondo quanto riporta la Repubblica, Anna potrebbe essere salita a bordo per un giorno di prova, o forse per un lavoretto in nero. Come accade spesso con gli studenti dell’ex istituto nautico locale.
Il padre racconta di averlo saputo solo all’ultimo momento: «Un amico mi ha detto che Anna avrebbe lavorato su una barca. Era felice. Voleva mettere via qualcosa per festeggiare i 18 anni. Mancavano pochi giorni».
Ma la festa non ci sarà. Restano i fiori degli amici sul molo. E tante, troppe domande.
«Una barca così non si manovra in due. Serviva una squadra. E più responsabilità».
Anna sognava il mare. Di comandarlo, un giorno. Non di finirci così.