Diciamoci la verità: il Cpr di Gjader in Albania è uno dei più clamorosi fallimenti delle politiche migratorie italiane. In un momento storico in cui ci si aspetterebbe una gestione più razionale e umana dei flussi migratori, ci troviamo di fronte a una situazione che grida vendetta. Con una spesa di 114 mila euro al giorno per appena cinque giorni di operatività, questo investimento non ha prodotto nulla di concreto.
ActionAid e l’Università di Bari hanno messo a nudo questo scempio, dimostrando come l’operazione Albania non sia altro che un costo insostenibile e, per molti versi, inumano.
I costi abnormi dell’operazione
Il re è nudo, e ve lo dico io: 570 mila euro per detenere 20 persone per cinque giorni è un affare che farebbe impallidire anche il più scaltro dei manager. Non si tratta solo di numeri, ma di efficienza e umanità. La Prefettura di Roma ha speso somme astronomiche per un centro che si è rivelato poco più di un contenitore vuoto. Con 114 mila euro al giorno, si è creata un’infrastruttura che ha visto solo un fugace passaggio di migranti, liberati in poche ore. È evidente che c’è qualcosa che non va in questa gestione: i dati parlano chiaro, con un costo di oltre 153 mila euro per ogni posto effettivamente disponibile in Albania. E mentre in Italia si riesce a realizzare un centro con 1 milione di euro per 50 posti, qui si sprecano risorse senza alcun risultato. Ma ci siamo mai chiesti perché? Chi ci guadagna davvero in questo sistema?
Un’analisi controcorrente
La realtà è meno politically correct: i numeri mostrano un fallimento non solo economico, ma anche sociale. La costruzione di 400 posti a Gjader ha richiesto contratti per 74,2 milioni di euro, con un uso generalizzato dell’affidamento diretto. E non dimentichiamoci dei costi per il personale delle forze dell’ordine: 528 mila euro per ospitalità e ristorazione in soli cinque giorni di operatività! È ora di chiedersi: chi beneficia davvero di queste spese? Certamente non i migranti, che continuano a essere trattati come meri numeri in un bilancio. E a chi giova tutto questo? È tempo di rompere il silenzio e fare chiarezza su una situazione che non può andare avanti così.
Conclusioni disturbanti
So che non è popolare dirlo, ma è fondamentale aprire gli occhi su quanto sta accadendo. Il Cpr di Gjader non è solo un esempio di cattiva gestione delle risorse pubbliche, ma un simbolo di una politica migratoria che ha bisogno di una revisione profonda. È tempo di riflettere su come le nostre scelte politiche influenzino la vita di migliaia di persone e di chiedere un cambio di rotta. Non possiamo permettere che queste ingiustizie continuino a verificarsi sotto i nostri occhi.
Invitiamo tutti a un pensiero critico: è giunto il momento di smettere di accettare acriticamente le narrative mainstream e iniziare a chiedere conto a chi ci governa. Solo così possiamo sperare di costruire un futuro migliore per tutti.